Le tante verità di un’unica storia
La verità di Mariana Malavento
I dati con cui il commissario Sangemini si era trovato a fare i conti per risolvere il delitto erano di ben scarsa consistenza.
La mancanza di un indiziato credibile, poi, aveva aumentato il chiasso intorno al caso.
Molti avrebbero desiderato, per antipatia, veder imputata la suocera, quella Mariana Malavento, donna ingombrante e spavalda, che aveva gettato discredito sul genero a cui pur tanto doveva in quanto a benessere e notorietà.
Ma si sa che la riconoscenza, fra tutte le virtù, non è quella più praticata dagli uomini, a maggior ragione da una donna siffatta: bellissima, sguaiata ed irriconoscente, sarebbe stata l'assassina perfetta.
Arrogantemente esponendosi, Mariana Malavento, però, aveva da subito, e senza mascheramenti, esibito la tangibilità del suo odio nei confronti del genero, che il commissario Sangemini non aveva dubitato neppure per un secondo della genuinità di quel sentimento, trattenuto per troppo tempo da una donna come lei pericolosamente istintiva, capace di uccidere, se lo avesse ritenuto opportuno, e di confessare il delitto come un atto di giustizia, per cui avrebbe anche reclamato, in ultimo, un risarcimento.
La verità di Helga Malavento
Su Helga, invece, mancava una verità specifica, tant'è che il commissario l'aveva esclusa subito dalla rosa degli indiziati, non perché la ritenesse incapace di uccidere (l'esperienza gli aveva insegnato che chiunque, fortemente motivato, può trasformarsi in potenziale assassino), ma perché sposando Jacopo Imperiale aveva infine catturato l'ombra rassicurante di quel padre che la madre gli aveva negato fin dall'infanzia.
Completamente appagata nella sua vita matrimoniale, non aveva alcun motivo per uccidere l'uomo che l'aveva resa, al contempo, moglie e figlia. E consacrata musa.
Alla morte del poeta, sentendosi nuovamente orfana, aveva fatto ritorno nel suo mondo inaccessibile, consegnandosi, di nuovo passiva, all'inedia e al mutismo.
Era questo il prezzo del suo odio inconfessato nei confronti della madre che, di contro, seppure a modo suo, teneramente amava quella figlia così fragile, a cui non aveva mai imposto i suoi modelli di vita, ma anzi profondamente la rispettava per quella sua austerità esistenziale, la passione per lo studio, e attenta vigilava che quella sua sensibilità pericolosamente esacerbata non tramutasse in patologia.
Guardandole le braccia martoriate dagli aghi delle flebo, lo sguardo claustrofobico e le labbra ostinatamente serate, il commissario Sangemini l'aveva da subito ascritta alla categoria dei probabili suicidi piuttosto che a quella degli assassini in nuce.
La verità di Oliviero Piscopo
L'accurata ricostruzione delle dinamiche della sua rocambolesca, quanto intempestiva entrata in scena sul luogo del crimine, e la mancanza assoluta di un movente, avevano convinto il commissario Sangemini della totale estraneità di Oliviero Piscopo, al quale si poteva, alla fine, solo imputare l'omissione di soccorso.
Uno sbandato, questo ex attore, turbolento e pavido, mancante di qualsiasi carisma, mantenuto dalle donne, inebetito dagli stravizi da nottambulo, era solo una rumorosa comparsa sul set di questo imponente drammone.
Non possedeva, d'altronde, alcun talento interpretativo, neppure per i ruoli secondari, accontentandosi di fugaci comparsate nelle camere da letto di ricche signore annoiate, ma sempre pronto alla fuga ed alla sconfessione.
La storia di Oliviero Piscopo, trascritta nei verbali della polizia era assolutamente vera.
Meno vera, invece, quella raccontata in una sua biografia, pubblicata dalla "Zattera Del Poeta", la casa editrice di Jacopo Imperiale, in cui veniva descritto come una sorta di eroe romantico e decadente, che fece grandemente salire di prezzo le sue prestazioni di letto e lo recuperò alla notorietà dei set cinematografici e televisivi.
La verità della casa editrice “la Zattera Del Poeta”
La casa editrice, paladina dell'eredità intellettuale di Jacopo Imperiale, con un colpo di genio aveva organizzato, tramite un grande battage pubblicitario, la pubblicazione dell'antologia postuma del poeta in concomitanza con quella della biografia dell'attore, suscitando lo sconcerto dei critici, del clero e dei benpensanti che sostenevano, scandalizzati, che era come mischiare, in nome del profitto commerciale, il diavolo e l'acqua santa.
Inaccettabile, per costoro, che Jacopo Imperiale, poeta nazionale di fama mondiale, fosse costretto a dividere il suo ultimo palcoscenico con quell'attoruncolo vizioso, il cui unico talento era stato quello d'inciampare nel suo cadavere.
I più infuriati proposero addirittura il boicottaggio della casa editrice che invece, trovandosi al centro di una simile bagarre pubblicitaria, esaurì nel giro di pochi giorni le copie edite, provvedendo tempestivamente all'avvio di una seconda ristampa per esaudire le migliaia di richieste, anche estere, che continuavano a pervenire incessanti.
La verità dell’anonimo balbuziente
La verità dell'anonimo balbuziente, congetturava il commissario Sangemini, era stata la più onesta di tutte.
Il testimone occulto si era limitato a raccontare la sequenza a cui aveva assistito mentre era in perlustrazione nella sua consueta ronda notturna alla ricerca di coppiette da spiare: un uomo steso a terra, immobile, mentre quello che lo sovrastava gli andava conficcando un coltello nel torace e, nella fretta di concludere il suo lavoro da killer, aveva imbrattato di sangue la sua sciarpa bianca da dandy.
L'anonimo balbuziente non aveva mentito, e neppure voluto volontariamente addossare il delitto ad Oliviero Piscopo: si era semplicemente limitato a raccontare ciò che aveva visto,
La verità di Jacopo Imperiale
La verità, Jacopo Imperiale, se l'era portata nel tomba insieme alla visione di un angolo di cielo in cui, per sempre, avrebbe continuato a brillare quell'unica stella passiva che aveva assistito, lontana ed indifferente, al suo assassinio.
L'intera sua esistenza era stata passata al setaccio: la vita noiosa di un intellettuale a cui, però, piacevano molto le donne, senza distinzione d'età, cosicché era lecito pensare che i pochi anni di Helga non erano stati il motivo principale per cui l'aveva sposata.
Seppur quel matrimonio, determinato forse dall'amore, o solo da un capriccio, strenuamente osteggiato da Mariana Malavento, aspramente criticato dalla casta degli intellettuali così come dall'entourage più intimo del poeta, funzionava, invece, benissimo.
La verità di Guerrino Sangemini
La verità del commissario Guerrino Sangemini era nella consapevolezza che ci sono verità irraggiungibili, e così quella morte, forse, non avrebbe mai avuto un vero colpevole.
Non era gettare la spugna, né rassegnarsi, ma solo filosoficamente prender atto di ciò che l'esperienza gli aveva insegnato, ossia che gli insuccessi (compresi quelli investigativi) rientrano nella casistica di tutte le categorie, di cui bisogna tener conto senza considerarli fallimenti se, con rigore, si è espletato il proprio compito.
Ma la verità... dov'è la verità?
Sul corpo di un uomo steso sul tavolo dell'obitorio?
Nei reperti imbustati e catalogati negli archivi della polizia?
Nelle cartelle dei verbali degli interrogatori?
In un particolare discordante, una parola stridente, un dito puntato, una smorfia accusatrice?
La risposta è che la verità non sempre è dove l’andiamo cercando.
Ben sapeva, il commissario Sangemini, che la letteratura investigativa è piena di casi irrisolti, proprio come sarebbe stato questo di Jacopo Imperiale che però, invece di cadere nell'oblio, avrebbe continuato ad ossessionare nei decenni generazioni di detective, storici, giornalisti, scrittori, legulei e parolai, pronti a cimentarsi alla ricerca della verità.
Magari ridisegnando le identità dei protagonisti e reimpostando la cronologia degli eventi.
Trasformandola in leggenda.
Ma non sarebbe stata più la stessa storia.