Dedico questo blog a mia madre, meravigliosa farfalla dalle ali scure e dal cuore buio, totalmente priva del senso del volo e dell'orientamento e, per questo, paurosa del cielo aperto. Nevrotica. Elusiva. Inafferrabile.

giovedì 30 giugno 2011

Requiem per un poeta (capitolo 9)


Verità apparenti. Verità accertate.
Oliviero Piscopo, con l'ostinazione dell'innocente, andava ripetendo sempre la stessa versione della sua storia, senza cambiarla di una virgola. Sta di fatto che con questo ritorno, seppur negativo, di notorietà vennero rispolverati e ritrasmessi i suoi vecchi film, ed una certa critica chiosò perfino, in tono benevolo, di una piacevole riscoperta delle sue sottovalutate capacità d'attore, cucendogli addosso il ruolo scontato, ma sempre di gran presa, dell' eroe fascinoso e maledetto. Un regista molto famoso, schieratosi dalla parte degli innocentisti, (per convinzione sincera o per calcolo opportunista?) gli propose, qualora fosse uscito da questa brutta storia, la parte di protagonista in un suo film. Così , ecco la faccia di Oliviero Piscopo campeggiare sulle prime pagine dei giornali ed affacciarsi dallo schermo televisivo, e da quello più ampio del cinema. Lettere d'amore e proposte di matrimonio gli piovvero addosso come manna imprevista, ed un avvocatessa di fama, la cui incommensurabile bruttezza era pari solo alla sua straordinaria bravura, gli offrì il suo patrocinio gratuito. Puntando, contro ogni pronostico, all’assoluzione piena per il suo assistito: un’indiscutibile affermazione di se stessa, una intelligente rivalsa per le  troppe volte in cui la sua poca avvenenza era stata posta in primo piano a svantaggio del suo immenso talento.

Ma tanto più le luci s'accendevano abbaglianti su questo caso, tanto più Helga si ritirava nell'ombra, totalmente schermata dalla madre che l'aveva resa inaccessibile a chiunque, minacciando querele dal momento che la ragazza era ancora minorenne, ed appellandosi a tutti gli emendamenti, quelli della Giustizia, quelli della Costituzione e quelli, non scritti, della Coscienza.
Helga rappresentava un punto interrogativo anche per il commissario Sangemini, che di donne aveva pure una discreta esperienza, però del genere adulto, ma di adolescenti no, di quelle era assolutamente all'oscuro.
Nulla sapeva della loro vita complicata, umorale e schizzata.

Ed Helga si nascondeva, come un topolino, nel suo pertugio iperprotetto, lontana dai clamori e dai flash, di nuovo preda dell'anoressia e del mutismo claustrale, sorvegliata da quella  portentosa madre che imponeva la sua presenza anche durante gli interrogatori.
Donna incredibile, questa Mariana Malavento, che non interferiva né con una parola né con un ragguaglio, ma che, come il commissario Sangemini ben intuiva, era lei a dirigere la scena.
Helga Malavento, invece, priva di trucco e con quella frangia infantile calata sugli occhi, sembrava ancor più giovane dei suoi, appena compiuti, diciassette anni.
Una cosina minuta, da cullare come una bambola stretta al petto.
Una bambina da cavalluccio a dondolo, da vestire con abiti di merletto rosa.
Che aveva da spartire, questa piccolina, col mondo austero della letteratura?
Perché gli era stata data in pasto?
Il grande poeta, Jacopo Imperiale, a secco d'ispirazione, attingeva dalle tettine esigue e dalle gambe esili di questa adolescente gli ultimi striminziti versi di una vena poetica ormai in esaurimento.

Rifletteva così, Guerrino Sangemini, che per gli intellettuali non aveva mai provato grande simpatia, seppur qualche libro lo avesse letto ma che, forse per via del suo carattere e del suo lavoro, era più vicino all'universo dei filosofi e dei matematici, dal momento che la funzione investigativa richiedeva capacità d'analisi e di deduzione.
La verità...cos'è la verità?
Si chiedeva, al momento smarrito, in corsa anche lui, e suo malgrado, su quella rutilante giostra mediatica.
Verità apparenti. Verità accertate.
Vera la storia raccontata da Mariana Malavento, coi toni del rancore ma anche di una genuina disperazione
Vera la storia di Oliviero Piscopo, seppur qui non ci siano testimoni a favore.
Vera anche la storia raccontata al telefono, ed in due parole, dall'anonimo balbuziente, basata su ciò che ha visto o immaginato di vedere.
Vera, infine, la pugnalata mortale che ha ucciso Jacopo Imperiale, e che il commissario Sangemini, se potesse, vorrebbe volentieri poter attribuire, come atto estremo di giustizia, ad Erato, musa della poesia, stufa di esser presa per i fondelli.

mercoledì 29 giugno 2011

Requiem per un poeta (capitolo 8)


Non sempre appare ciò che è.
Non sempre ciò che è appare.
Vite vissute negli eccessi, quelle di Mariana Malavento, così come quella di Oliviero Piscopo.
E motivazioni se ne possono pur trovare per giustificare tutto quel protagonismo e quel gran chiasso, che l'intelligenza scaltra degli eccentrici troppo spesso trova supporto nelle analisi, e nell'avvallo delle teorie degli psicologi, ed ecco che, alla fine, si è in grado di confessarsi e d'assolversi autonomamente, senza l'intermediazione misericordiosa di un prete né quella analitica di uno strizzacervelli.
Questo almanaccava il commissario Guerrino Sangemini, facendo il punto della situazione in base ai chiarimenti, o supposti tali, di Mariana Malavento.
Tutto, però, stonava, in questa maledetta storia: la vittima, le parti in causa ed il presunto colpevole
Sul cadavere di Jacopo Imperiale, tra il collo ed il mento, erano state rilevate nitide tracce di saliva appartenenti, senza alcuna ombra di dubbio, ad Oliviero Piscopo, così come sue erano le impronte digitali riscontrate sul manico del coltello.
Gli unici addebiti di presunzione di colpevolezza coinvolgevano, in maniera diretta, solo lui.
Sarebbe stato in grado, l'ex attore, di congegnare la storia della sua accidentale caduta sul corpo del poeta ancora, forse, agonizzante, per spiegare le evidentissime tracce da lui lasciate sul suo cadavere?
Ma una intelligenza così acuta, da inventarsi una trama d'una siffatta logica, da sollevare comunque dubbi sulla sua colpevolezza, avrebbe anche pensato di cancellare le impronte della sua colpevolezza.
Sfumature così sottili che non sembravano appartenere al carattere di Oliviero Piscopo, noto alla polizia per storie di droga e di prostituzione, che viveva alle spalle di ricche signore annoiate alle quali piaceva, per diversivo, immedesimarsi nel ruolo della pupa del boss.
La vita di Oliviero Piscopo era stata minuziosamente passata al setaccio, ma dalle indagini effettuate non risultava nessun legame, nessun contatto, né con il morto né con il suo entourage.
Perché quindi avrebbe dovuto ucciderlo?
Si poteva formulare, però,  l'ipotesi che quella notte il gigolò, reduce da una festa borderline, sconvolto dall'alcol e dalle droghe, avesse incontrato il poeta e, assalito da un raptus improvviso, dovuto magari ad un banale diverbio o a una  puerile provocazione, lo avesse assassinato.
Ma cosa ci faceva Jacopo Imperiale nei viali deserti del parco comunale, già chiuso a quell'ora?
E, d'altra parte, non lo aveva convinto troppo nemmeno Mariana Malavento.
Donna di carattere, quella sì, personalità da romanzo: eccentrica, volitiva, carismatica.
Aveva spontaneamente confessato, con parole di fuoco, il disprezzo e l'odio per il genero, gettando ombre inquietanti sulla sua immagine di uomo e di letterato, nelle tante interviste rilasciate ai mass media, cosicché quando il commissario Sangemini le aveva chiesto chiarimenti sull'incongruenza tra quelle diffamazioni pubbliche al fulmicotone e quelle invece pacatissime, rilasciate in questura, ecco che saltava fuori una spiegazione da trattato di psicologia: l'esplosione del risentimento di una madre contro l'uomo che aveva irretito la figlia adolescente.
Di Mariana Malavento, sul cadavere del genero, non v'era nemmeno un capello e, seppur ci fosse stato, quella donna straordinaria, col suo sorriso più falso e seducente, avrebbe ben potuto obiettare: capelli sempre se ne perdono, commissario, niente di più facile che mi sia caduto mentre gli spazzolavo la giacca.

Non sempre appare ciò che è.
Non sempre è ciò che appare.
Questa la prima regola a cui un buon investigatore deve sempre attenersi.

sabato 25 giugno 2011

Requiem per un poeta (capitolo 7)


In diretta
Il commissario Sangemini aveva seguito in diretta, senza subito intervenire, il montare dell'ira burrascosa di Mariana Malavento, le evidenti contraddizioni tra la pacata deposizione rilasciata nell'interrogatorio al commissariato, in cui si limitava, seppur con palese sprezzo, a definire il marito della sua unica figlia “un uomo noioso e prevedibile”, e il crescendo delle parole velenose delle sue interviste, nella narrazione di un uomo bieco. Inquietante.
Perché tanto odio?
Quel fango gettato a palate sulla memoria del genero sarebbe ricaduto, inevitabilmente, anche su sua figlia, perché è probabile che i morti, così malamente richiamati in vita, possano risentirsene, e senza troppi scrupoli, poiché non hanno più nulla da perdere, vendicarsi dei vivi.
La notizia dell'arresto di Oliviero Piscopo, ad ogni modo, le aveva tolto per il momento il palcoscenico principale: tutte le luci si erano spostate sull'entrata in scena di quel nuovo attore.
Le impronte digitali ed il dna, riscontrati sul cadavere, appartenevano a lui.
Non c'erano altre impronte.
Non c'erano altre tracce.
Mancava, però, il movente.
E negli estenuanti interrogatori l'ex attore andava proclamando, fino allo sfinimento, la sua innocenza.
Di come si era imbattuto nel cadavere di Jacopo Imperiale, la ricostruzione dei suoi movimenti sulla scena del delitto, e la paura, la cattiva consigliera che gli aveva suggerito di fuggire per non  rischiare di trovarsi invischiato in qualcosa di orribile e di cui non aveva colpa, e chiamò allora a testimoniare della veridicità della sua versione gli ospiti della festa e, soprattutto, la donna che con lui aveva concluso la serata.
Ma i testimoni ricordavano sì, la sua presenza, ma non l'ora in cui se ne era andato.
Testimonianze confuse: troppi se e troppi non ricordo, per stabilire con un'attendibile approssimazione l'orario in cui Oliviero Piscopo aveva lasciato la festa.
La donna poi, moglie del padrone di casa, per le ragioni che è facile immaginare negava di aver avuto quel fugace incontro di sesso di cui l'indagato andava farneticando.
Eppoi c'era la telefonata dell'anonimo balbuziente che aveva riferito il particolare della sciarpa bianca, che pur apparteneva all'attore, effettivamente ritrovata accartocciata nel fondo di una busta di plastica.
Uniche impronte.
Uniche tracce.
Unico colpevole.
Ma ancora mancava il movente.

E negli estenuanti interrogatori l'ex attore andava proclamando, fino allo sfinimento, la sua innocenza.
Di come si era imbattuto nel cadavere di Jacopo Imperiale, la ricostruzione dei suoi movimenti sulla scena del delitto, e la paura, la cattiva consigliera che gli aveva suggerito di fuggire per non  rischiare di trovarsi invischiato in qualcosa di orribile e di cui non aveva colpa, e chiamò allora a testimoniare della veridicità della sua versione gli ospiti della festa e, soprattutto, la donna che con lui aveva concluso la serata.
Ma i testimoni ricordavano sì, la sua presenza, ma non l'ora in cui se ne era andato.
Testimonianze confuse: troppi se e troppi non ricordo, per stabilire con un'attendibile approssimazione l'orario in cui Oliviero Piscopo aveva lasciato la festa.
La donna poi, moglie del padrone di casa, per le ragioni che è facile immaginare negava di aver avuto quel fugace incontro di sesso di cui l'indagato andava farneticando.
Eppoi c'era la telefonata dell'anonimo balbuziente che aveva riferito il particolare della sciarpa bianca, che pur apparteneva all'attore, effettivamente ritrovata accartocciata nel fondo di una busta di plastica.
Uniche impronte.
Uniche tracce.
Unico colpevole.

giovedì 23 giugno 2011

Requiem per un poeta (capitolo 6)


Azioni e reazioni
Oliviero Piscopo era in procinto di partire o, per dirla giusta, fuggire, quando alle prime luci dell'alba due poliziotti bussarono al suo appartamento con un mandato d'arresto per l'omicidio di Jacopo Imperiale.

- Non l'ho ucciso io. Perché l’avrei fatto se nemmeno lo conoscevo? - aveva protestato, sentendosi perduto.
- Avrete modo di raccontare la vostra versione al commissariato. Seguiteci, per favore.

I due erano poliziotti compunti, professionali, di quelli col sangue freddo: agenti della omicidi.
Oliviero Piscopo, gelato dal tono che non ammetteva repliche, smise di protestare e pianse.

Ed è pur vero che ognuno agisce secondo il proprio modo e la propria natura cosicché, quanto spontanee furono le lacrime di Oliviero Piscopo, altrettanto spontanea fu la loquacità baldanzosa con cui Mariana Malavento rilasciava interviste. Questa donna tremenda andava infilzando, senza batter ciglio, lunghi spilloni nel cadavere ancora caldo del poeta, delineandolo in una fisionomia inedita quanto sconcertante. Il fantasma scarnificato del poeta s'aggirava, privato della sua anima sensibile, come uno zombie orrendamente corroso dalla lebbra della morte, a cui nessuno osava dare rifugio per paura del contagio. Nessuno si espose in difesa della sua memoria oltraggiata  per evitare che la gragnola di proiettili, tali erano le parole che Mariana Malavento andava sparando con mira da cecchino, colpisse, anche solo di striscio, tutti quelli che del poeta, ancora in vita, si erano qualificati amici, ma che poi davanti alle sprezzanti esternazioni della Malavento nei riguardi del morto andavano specificando “mai  davvero intimi”.
Parlava la suocera, con rancoroso disprezzo, del genero e delle sue frequentazioni con un mondo dove la poesia era, non solo dileggiata, ma bandita.
Quella del poeta era una maschera, l'inganno con cui era riuscito a circuire il mondo intero, fino all'ultimo atto dove andava interpretando il ruolo, magnificamente recitato, dell'anziano marito rimbambito dall'amore.
Interpretazione da oscar per la regia, la recitazione, la sceneggiatura e gli effetti speciali. Concludeva inviperita senza però mai entrare nel dettaglio specifico, ma lasciando intravedere scenari inquietanti, pervasi da un alone di mistero, atti a fomentare interrogativi ed ipotesi d'ogni tipo.

Ad arginare, con una difesa legale, quel fiume in piena che era Mariana Malavento, tentò la casa editrice di Jacopo Imperiale che, ironia della sorte, si chiamava "La Zattera Del Poeta", allertata dalla paura del naufragio delle vendite della raccolta postuma di poesie.
Così "La Zattera Del Poeta" s'incaricò di ristabilire l'onore del nome più illustre del suo catalogo, affinché quel cadavere trascinato alla deriva dal vento malevolo delle illazioni della Malavento (e mai cognome si rivelò più appropriato) non fosse preda inerte dei falchi pescatori, ma continuasse ad esser traghettato dal dolce soffio degli alisei sulle sponde sicure dell'immortalità.

mercoledì 22 giugno 2011

L'ennesimo plagio

Stasera avrei voluto scrivere il capitolo 6 del mio racconto "Requiem per un poeta" ed invece mi ritrovo a denunciare l'ennesimo plagio riguardo un mio post pubblicato il 29/06/2008, con il titolo Ritratti - Viaggiatrici.
Ho ritrovato,su segnalazione di un'amica, questo mio scritto pubblicato su un altro blog e con il titolo cambiato.
Il nome del blog in questione è "ESMERALDA...SEMPLICEMENTE L'ALTRA PARTE DI ME"
http://blog.libero.it/simonid/view.php?nocache=1308773879
Eh già, mi viene  maliziosamente da pensare, che l'altra parte di lei sia il mio post che ha plagiato, cambiandogli il titolo  in "OGNI DONNA HA UN PAIO D'ALI" tutta qui la sua  fantastica pensata, ovviamente dopo esserselo attribuito come proprio.
Il link del plagio è questo
http://blog.libero.it/simonid/8982277.html
Ora questo blog pare sia fermo, l'ultimo post è stato pubblicato il 24/06/2010, ma questo mi fa incazzare ancora di più: primo, perchè non avrò risposta; secondo, perchè il mio post rimarrà in quel blog dove è assolutamente estraneo a tutto l'insulso contesto (ecchecazzo, avrò pur diritto ad uno sfogo); terzo, perchè è rimasto lì un anno intero, a mia insaputa, prima che venisse scoperto.
Esmeralda, o come diavolo ti chiami, nessuno ti obbliga a postare in un blog se non sai cosa scrivere, in alternativa potresti leggerti un libro, guardarti un film, dialogare con persone interessanti, fare un viaggio, sperimentare, imparare, crescere.
Evolverti e, magari, riuscire ad acquisire quella sensibilità etica che, a quanto pare, in te è assolutamente assente.
Ti consiglio, Esmeralda, di mettere in moto le tue meningi e provare a tirar fuori cose tue, sò che è faticoso e, per certe teste, anche molto difficile, perchè di certo è molto più semplice entrare in un blog e scopiazzare e prendersi, poi, il merito.
Hai preso per il culo anche i tuoi lettori che dovrebbero essere ancora più incazzati di me perchè, se a me hai plagiato uno scritto a loro, invece, hai rubato  la fiducia.
Marilena

domenica 19 giugno 2011

Requiem per un poeta (capitolo 5)


L'antimonia del mentitore
Io mento:
se dico il vero, allora mento.
se dico il falso (mento), allora dico il vero.

Indagini
I database della polizia rivelarono che le impronte digitali riscontrate sul manico del coltello col quale era stato assassinato il poeta appartenevano ad  Oliviero Piscopo, ex attore e gigolò di professione, con precedenti per reiterate faccende di droga e di prostituzione.
Oltre alle impronte sul coltello erano state riscontrate sul cadavere anche tracce di dna che non erano risultate compatibili con nessuno dei campioni presente nel database.
Il commissario Sangemini aveva impartito severissimi ordini ai suoi uomini di non far trapelare nulla delle indagini in corso, pena il trasferimento immediato in qualche sperduto avamposto di frontiera.

Che i giornali titolassero pure, a caratteri cubitali, l'abusata frase "nessuna svolta nelle indagini, gli inquirenti brancolano nel buio" : il suo orgoglio non ne avrebbe di sicuro sofferto se questo contribuiva a tenere la stampa fuori dai piedi.

Agire con discrezione, questa la parola d'ordine.
Così, quando giorno ancora non era fatto, due poliziotti vennero inviati ad arrestare Oliviero Piscopo, indagato per l'omicidio di Jacopo Imperiale.

 Interrogatori
Al commissario Guerrino Sangemini, Mariana Malavento non piaceva affatto, perché apparteneva a quella categoria di donne abituate ad imporre la loro presenza in qualunque contesto, e senza crearsene problema.
Durante gli interrogatori si era sempre mostrata sicurissima di sé: nessun tentennamento, nessuna sbavatura, né contraddizione.
Parlava del genero assassinato in maniera distaccata e con palese disprezzo.
Un uomo tranquillo, appagato, che non aveva nemici, almeno all'apparenza.
In definitiva un uomo noioso.

Mariana:
“Mia figlia, però, ci andava d'accordo, anche se non ho ancora capito cosa davvero ci avesse trovato in lui. Lo accontentava in tutto, perfino ad accompagnarlo a quelle tediose conferenze dove c'è da sbadigliare fino a rompersi le mascelle. Adempiva con diligenza, e senza bisogno di alcun'altra sollecitazione, agli obblighi sociali e culturali, che richiedevano la sua presenza. Ed anche a quelli dove poteva esimersi. Una moglie perfetta, seppur i codini dell'ambiente intellettuale non le perdonavano quel matrimonio. Insomma, in pubblico era trattata col rispetto dovuto al cognome acquisito, ma dietro... arrampicatrice sociale e ninfetta, erano le etichettature meno offensive che le venivano attribuite. Perfino dall’entourage editoriale di Jacopo erano state fatte pressioni per impedire questo matrimonio.”

La ragazza, invece, al commissario, era piaciuta. Simile a tutte le sue coetanee, jeans a vita bassa ed ombelico in bella vista, con l'immancabile piercing. Era graziosa, niente di più. Forse, con gli anni, la sua bellezza sarebbe maturata: aveva un modo così elegante di camminare, in punta di piedi, come una ballerina classica. O una donna graziosamente timida.


Helga:
“Lo so che sembra difficile crederlo dal momento che c'erano quarant'anni di differenza tra me e Jacopo, ma stavamo bene insieme. Gli volevo bene. Lui mi trattava con rispetto ed accontentava ogni mio desiderio. Aveva molta pazienza con me, ed anche con la mamma, che è molto più difficile andarci d'accordo. La sopportava perché mi voleva bene. Cioè, più che bene, era innamorato di me. Penso che la mamma fosse un po’ gelosa di questo. Lei è così bella, però nessuno l'ha mai davvero amata. Almeno non come Jacopo amava me.  Non glielo dirà questo particolare, vero, commissario? Le sue storie sono sempre finite male. Non voleva che mi sposassi con lui, anche lei pensava, come tutti, che era troppo vecchio per me, ma io avevo fiducia in Jacopo, stavo bene con lui, mi raccontava storie fantastiche, mi spiegava le cose senza mai arrabbiarsi, chiedeva sempre il mio parere e, soprattutto, mi faceva ridere, perché non è vero che fosse così noioso come racconta la mamma. Mi faceva anche tanti regali. Era molto generoso. Con tutti. Non riesco proprio ad immaginare qualcuno che potesse avercela così tanto con lui, fino ad arrivare ad ucciderlo. Mi manca. Tanto.”

venerdì 17 giugno 2011

Requiem per un poeta (capitolo 4)


Interrogativi e risoluzioni
Cosa fare?
Con chi consigliarsi?
Questi gli angosciosi interrogativi che s'agitavano nella testa di Oliviero Piscopo.
Ricordava poco della dinamica della notte trascorsa, quando secondo il suo solito aveva scavalcato il cancello del parco comunale per abbreviare il tragitto verso casa, e subito dopo era caduto su quel corpo steso a terra.
Era troppo buio, e lui troppo incosciente, per vedere e ricordare di più.
Se non ci fosse stata la sciarpa bianca macchiata di sangue avrebbe potuto benissimo archiviare il tutto come un brutto sogno.
Ma la sciarpa era lì, stesa sul bracciolo, a ricordargli che l'incubo era reale.
Distruggere la sciarpa e far perdere le proprie tracce, questa gli parve l'unica soluzione possibile.
Con questa risoluzione s'impose la calma, immaginando di avere ancora un po’ di tempo per porre, in qualche modo, rimedio a quell'orribile situazione.
Di stupidaggini ne aveva fatte tante nella vita, ma mai quella di macchiarsi di un simile crimine.
Accese la tv per sentire i notiziari del mattino e sapere chi era il morto, sperando che non fosse qualcuno di sua conoscenza.
Eh sì che di gente ne frequentava, soprattutto balordi, e di quel genere che benissimo possono finire ammazzati.
Quest'ultima constatazione lo sospinse di nuovo nell'angoscia.
Ma lui, in definitiva, cosa aveva da temere?
Era stato fino a tarda notte ad una mega festa dove molti lo avevano visto e dove,poco prima di andarsene, aveva fatto sesso con la moglie del padrone di casa, che avrebbe potuto chiamare in causa se le necessità lo esigevano, perché davanti ad un imbroglio così grande c'era poco da esser gentiluomini. E lui di sicuro preferiva il ruolo del fedifrago a quello dell'assassino: in definitiva non aveva nessuna reputazione da salvare, tranne quella della sua innocenza.
Prima di tutto occorreva far sparire la sciarpa, e dal momento che il suo monolocale era sprovvisto di un camino la cacciò in una busta di plastica che avrebbe riempito con delle pietre e poi gettato nel lago.
Chi fosse il cadavere su cui lui era caduto scavalcando il cancello lo aveva saputo dal telegiornale, e il poeta Jacopo Imperiale non rientrava tra le sue conoscenze. Tanto meno tra le sue frequentazioni.
Tra loro due non esisteva alcun legame che potesse in qualche modo ascriverlo tra i sospettati.
Nessun legame. Nessun movente.
E questo, di sicuro, era un punto a suo favore.
In una nitida sequenza al rallentatore rivide se stesso nell'atto di scavalcare il cancello e poi cadere sull'uomo inerte. Rivisse la sensazione dell'affondo della lama nell'impatto della sua caduta sul corpo. Rivide gli occhi spalancati del morto che fissavano un punto remoto. E poi le sue mani contratte sul manico del coltello.
C'era quindi qualcosa di più serio di cui preoccuparsi che di una sciarpa sporca di sangue: le sue impronte.
E, a ben pensarci, forse non ci sarebbe stato bisogno di un vero movente per incastrare uno come lui. 
A quella rivelazione l'angoscia dai visceri gli salì alla gola.
Oliviero Piscopo vomitò tutti gli eccessi della festa: cibo, alcool, fumo e droghe. E in ultimo anche l'odore della donna che gli si era concessa.

mercoledì 15 giugno 2011

AUGURI LORENZO, TI ASPETTIAMO A ROMA PER FARTI LA FESTA!

Requiem per un poeta (capitolo 3)



Riscontri e deduzioni
L'esame autoptico stabilì che la morte era stata causata da un solo colpo inferto a recidere l'arteria polmonare, con le conseguenze inevitabili di una emorragia: Jacopo Imperiale era morto, quindi, per dissanguamento dopo una breve agonia.

- Breve, quanto? - aveva chiesto tra le lacrime la giovanissima vedova.
- Neppure il tempo di ricordare un ultimo verso. Non ha troppo sofferto – l’aveva rassicurata lui.

L’esperienza aveva insegnato al commissario Sangemini che i vivi, per continuare a vivere, hanno bisogno di credere che la morte non sia mai avvenuta in maniera troppo violenta, anche quando aggredisce con la punta aguzza di un coltello.

- Quanta forza è occorsa per far penetrare tra la strettura delle costole, la lama del coltello?- aveva domandato il commissario al medico legale.
- Non necessariamente una forza sovrumana, se l'arma è ben affilata come questa, e se la mano che l'impugna è ben motivata. Così come sembra – aveva stabilito l’altro.

Quindi, ad ucciderlo, poteva essere stata anche una donna.
Delitto scaturito dalla passione e non dalla predeterminazione.
E come potrebbe essere altrimenti?
Si tratta in definitiva di un poeta, un uomo capace di destar sentimenti tumultuosi e  controversi. Un uomo d'acume e di successo, omaggiato ed invidiato, appartenente a quella categoria superiore a cui tutto è concesso, perfino i controsensi, come questo recente matrimonio con un'adolescente che, di certo, lo avrà sposato per il suo patrimonio, lei e quella sua terribile mamma che riempie i rotocalchi con le sue rocambolesche avventure amorose. Due vedove nere, mi si perdoni l'humor, se la più giovane poi lo è diventata davvero, e a così breve tempo dalle nozze.
Ed ora si sarebbe aperta la fase degli interrogatori, dove avrebbe dovuto vagliare i particolari e cercare riscontro agli alibi: quella fase dove anche lo spostamento di una virgola all'interno di un verbale avrebbe potuto tramutare un' affermazione in dubbio.

Il commissario Guerrino Sangemini maledisse se stesso per non aver dato retta, tanti anni prima, a quel ragionevole istinto che gli aveva suggerito di laurearsi in archeologia, dove la ricerca della verità sugli eventi del passato è molto più semplice di quella sugli accadimenti del presente.

Un indizio
L'assassino indossava una sciarpa bianca.
Questo l'indizio che l'anonimo balbuziente aveva svelato, con una seconda telefonata, alla centrale di polizia.

Qualcosa di cui sparlare
I media, come da copione, si erano scaraventati come avvoltoi sul succulento cadavere del poeta, vivisezionandolo.
Ora che era morto nulla gli sarebbe stato risparmiato, soprattutto da chi in vita lo aveva adulato per opportunità o manierismo.
Le condoglianze vennero presto accantonate a favore di particolari inediti e piccanti che, pur se non ce ne fossero stati, si sarebbe provveduto con solerzia a fabbricarne, insinuando dubbi e modificando verità.
Alla fine non importava davvero a nessuno, almeno non nel modo più onesto, chi era stato e cosa aveva rappresentato Jacopo Imperiale, gloria nazionale di livello mondiale, seppellito sotto quintali d'illazioni.
I critici, pur continuando ad osannarlo come la stella più luminosa nel firmamento dei poeti nazionali, non dimenticavano di sottolineare che quella luce, dopo quel matrimonio bizzarro, si era andata notevolmente affievolendo, tanto che la sua ultima opera era stata definita, con verdetto unanime, un'antologia di filastrocche per liceali.
Gli amici lo rammentavano nel suo passato generoso ed empatico, che il successo mondiale non lo aveva reso arrogante né irraggiungibile, tranne forse negli ultimi tempi, che quel matrimonio così poco consono alla sua biografia lo aveva allontanato da tutti coloro che invano si erano spesi per farlo ragionare ed impedirgli una simile bizzarria.
A questo coro mancavano le voci dei familiari che Jacopo Imperiale più non aveva, per sua sfortuna o fortuna, che nel dubbio ci viene da congetturare chissà quali altre inique sperequazioni si sarebbero aggiunte a quelle già formulate.

lunedì 13 giugno 2011

Requiem per un poeta (capitolo 2)


Requiem per un poeta
Il commissario Guerrino Sangemini detestava gli eccessi e le intemperanze, e cosa c'era di più eccessivo ed intemperante di un omicidio?
Lui, amante della new age, dei panorami silenziosi e dei week end di sole che svuotavano le città, avrebbe volentieri resuscitato il poeta solo per toglierselo dalle scatole, evitando a sé stesso la noiosa burocrazia delle indagini.
Eppoi  non provava nessuna empatia verso l'uomo che si era fatto cogliere dalla morte in un'ora deserta, ai piedi del cancello di un parco e con un coltello profondamente conficcato fra le costole, a toccare il cuore, e maturando la convinzione che in qualunque punto di quel corpo la lama si fosse andata ad impiantare avrebbe sempre colpito il cuore, che nei poeti ricopre il novantanove per cento della superficie.
Facilissimo, in quel caso, il compito del medico legale: praticamente il referto delle cause di quella morte era già scritto lì, sulla scena del crimine, mentre a lui, invece, sarebbe spettato il difficilissimo compito di assemblare, nella giusta sequenza, le scene madri di quel film muto e senza spettatori.
Non sarebbe bastato un solenne requiem, a suggellare la morte del poeta Jacopo Imperiale.

Scene madri
Helga Malavento era stata colta da malore alla notizia dell'assassinio del marito: il mondo, d'improvviso, aveva preso a girare vorticosamente e subito dopo s'era oscurato, misericordiosamente precipitandola nell'incoscienza.
Il commissario l'aveva prontamente accolta tra le sue braccia nel momento in cui stava scivolando a terra.
La scena madre di una grande attrice o la conseguenza di una emozione troppo forte?
Però gli era sembrata spontanea, seppur le donne, anche quelle ancora in fasce, ne conoscano una più del diavolo. Per questo  il commissario non si era mai impegnato seriamente con nessuna.
Nel frattempo aveva fatto il suo irruento ingresso Mariana Malavento che, alla vista della figlia priva di sensi, aveva preso ad inveire contro il commissario e i suoi metodi da poliziotto, quando sarebbe spettato a lei, sua madre, comunicarle con la dovuta cautela la luttuosa notizia.

- Potrei denunciarla, lo sa? - aveva sibilato la donna.
- E per cosa, signora? - aveva domandato esterrefatto il commissario.


Un brutto sogno
La prima cosa che Oliviero Piscopo vide, emergendo dalle nebbie del dopo sbornia, fu la sua sciarpa bianca macchiata di sangue che penzolava dal bracciolo di una sedia.
Lo sgomento s'impadronì di lui.
Emise un gemito prima di ricacciare la testa sotto il cuscino per non vedere materializzato quello che, volentieri, avrebbe sperato esser solo l'imbroglio di un brutto sogno.

sabato 11 giugno 2011

Requiem per un poeta (capitolo 1)


Il poeta
L'ultimo fotogramma della vita che il poeta Jacopo Imperiale riuscì a catturare prima di morire fu un lembo di cielo color fango con dentro una piccola stella passiva, a portata di mano, cosicché prima di spirare egli allungò, in un gesto romantico quanto drammatico, le dita per afferrarla, tanto gli pareva vicina, e nel delirio confuso che precede la morte mormorò i versi di quell'ultima poesia che mai avrebbe scritto.


Il gigolò
Fu Oliviero Piscopo, ex attore, con una seppur breve e già tramontata carriera alle spalle, soppiantata da quella più redditizia di gigolò, nottambulo per indole e professione, reduce da una festa memorabile in cui, per consolidare la sua cattiva fama, si era strafatto di tutto, ad  imbattersi, inopportunamente, nel cadavere del poeta Jacopo Imperiale che giaceva dalla parte opposta del cancello del parco comunale, a quell'ora ancora chiuso, che lui aveva maldestramente scavalcato per prendere la scorciatoia verso casa,  cadendogli letteralmente sopra e mandando a conficcare ancor più profondamente nel torace la lama del coltello di cui sporgeva il manico, ruvido e scuro, dallo sparato della camicia imbrattato di sangue.
E quel manico, Oliviero Piscopo, lo aveva afferrato come fosse una maniglia a cui sorreggersi, prima di fuggire spaventato e senza prestar soccorso al corpo disteso sotto di lui.

L'anonimo balbuziente
Come sempre in questi casi avviene, fu  la voce balbettante di un anonimo a segnalare alla polizia l'avvistamento del cadavere.

Il commissario
Guerrino Sangemini si ritrovò alle prime luci dell'alba tra le mani quel cadavere ancora caldo ed ingombrante,  con la notizia dell'omicidio che aveva già trovato riscontro nelle agenzie ANSA e campeggiava a caratteri cubitali sulle prime pagine dei giornali e dei notiziari televisivi, destando grande scalpore ed unanime  cordoglio, per una morte così brutale ed imprevista.

La vedova
Helga Malavento, la giovanissima moglie del maturo poeta, ebbe un malore alla notizia inaspettata della morte del marito. Creatura fragile e provvisoria, ascrivibile alla categoria dannata dei suicidi  piuttosto che a quella maledetta degli assassini.

La suocera
Mariana Malavento, la suocera spavalda e provocatoria, già nota alle cronache mondane per le sue intemperanze sentimentali e che, da ultimo, con le sue interviste aveva teso a screditare a livello mondiale la memoria del genero. Per questo suo esecrabile comportamento fu da subito invisa all'opinione pubblica da cui, pollice verso, era stata giudicata possibile colpevole.

"La Zattera Del Poeta"
La casa editrice di Jacopo Imperiale, paladina della memoria aurea del poeta.
Questi i personaggi di una storia tanto bislacca quanto crudele, che sempre più ci rafforza nella teoria che la vita è un ingannevole gioco di specchi e che la verità, talvolta, si mostra molto meno credibile della menzogna.


La storia

 Jacopo, Helga e Mariana
Dediche siffatte alla sua giovanissima moglie adornavano gli scritti recenti di Jacopo Imperiale, che la comparava, con fervore adolescenziale, ora ad una farfallina ora ad una rondinella o, come in quest'ultimo, ad una stellina.
Poco gli era importato se la severità di una certa critica malevola aveva stroncato i suoi ultimi lavori, tacciandolo di rimbambimento senile e paragonandolo, non senza qualche malignità, al professor Humbert Humbert, il discusso protagonista del romanzo "Lolita": Jacopo Imperiale aveva continuato a scrivere versi infarciti di metafore sempre più simili a filastrocche che a quegli intensi, strutturati componimenti, che ne avevano decretato l'ascesa nel conteso e sovraffollato universo dei poeti.
Helga Malavento aveva solo sedici anni quando l'aveva sposata, con il consenso sottoscritto dalla madre, quale unico genitore, presso il tribunale dei  minori mentre lui aveva già abbondantemente superato la cinquantina, pur conservandosi ancora, nel fisico e nell'aspetto, tonico e molto attraente.
Madre e figlia si erano trasferite dall'angusto monolocale periferico al villone residenziale, in un cambiamento sostanziale di metri quadrati e di prospettive.
Ma era Mariana Malavento ad alimentare le cronache mondane con un comportamento scandaloso e sprovveduto, cosicché  il nome del poeta veniva spesso citato nella cronaca rosa associato alle intemperanze della pestifera suocera, con disappunto della classe intellettuale che di quel talento abbagliante se ne era orgogliosamente fatta fregio, a livello nazionale ed internazionale.
Dal canto suo, Helga Malavento, nonostante la giovane età si era dimostrata molto più assennata della genitrice, limitandosi a godere, piuttosto defilata, dei lussi  e delle feste, e presenziando, gentile e paziente, ai noiosissimi convegni letterari a cui mai si sarebbe sottratta, per gratitudine e dovere ma soprattutto per amore, con la stessa mite condiscendenza con la quale fronteggiava gli appassionati assalti notturni del maturo poeta.