Dedico questo blog a mia madre, meravigliosa farfalla dalle ali scure e dal cuore buio, totalmente priva del senso del volo e dell'orientamento e, per questo, paurosa del cielo aperto. Nevrotica. Elusiva. Inafferrabile.

sabato 31 dicembre 2011

Auguri!

Images by Brian Viveros

Ci sono momenti in cui tutto va per il verso giusto. Non occorre spaventarsi. Sono momenti che passano
Jules  Renard

giovedì 29 dicembre 2011

Dove? Perché?

Andar via di qui, è questo il mio ultimo assillo
Andare dove? Mi chiede Amaranta
Andare dove? Fanno coro tutte le altre  presenze del mio antro.
Perché? Domanda, invece, l'Imperatrice Camilla, ampliando, con questo interrogativo, i termini della questione.

Dove?
Perche'?
Sarebbe molto più facile non dare spiegazioni ed obbligare la mia piccola ciurma ad assecondare questa mia determinazione, ben sapendo che sarebbe costrettta a seguirmi perchè non avrebbe nessun'altra alternativa se non il suo dissolvimento esistenziale.

In questi ultimi quattro anni siamo tutti invecchiati un pò di più, ed io più degli altri, perchè ho dovuto spendermi affinchè tutto sembrasse reale, caldo e confortevole, nonostante le mie catastrofi esistenziali e la mia feroce volontà di resistenza.
Alla fine mi sono resa conto che è tutto davvero fittizio, anche quelle ipotesi di verità per cui un tempo ho dato battaglia, che tutto poggia su niente, e che si può voler bene e detestare nello stesso momento e con la stessa suprema intensità, che le parole sono difficili e, quelle della scrittura, ancor di più, che non hanno voce e, seppur  ne avessero una, sarebbe quella di chi legge.
Ed ecco che anche un diario può essere un luogo d'inganni, d'inesattezze, di espropriazione intellettuale.

Mi tenta l'idea di trasferirmi in una nuova regione di Blogosphere, ma dovrei farlo senza l'ingombro di questa valigia colma di tutti i miei scritti e senza il seguito della mia piccola ciurma, silenziosa ed emotiva, sapendo fin d'ora di condannarla al tragico destino dell'abbandono e di una morte certa.
Ma sta di fatto che questo luogo è pervaso da un eccesso di ombre e di presenze, contaminato da troppi ricordi, amarezze, inettitudini, collere, desideri, incoscienza, baldanza e passione, perchè io possa liberamente continuare a gestirlo senza inciampare nella desolazione o nel vuoto.
Marilena

mercoledì 28 dicembre 2011

Martina

Sono molto irrequieta quando mi legano allo spazio
(Alda Merini)


Martina, oggi, s'è vestita a festa ed agghindata i capelli con nastri e stramberie di fiori, cosicché un  passero ha  nidificato nell'abbondanza dei suoi riccioli, mentre una farfalla si è smarrita nel loro arruffato intrico.
Così si ammira nel riflesso della finestra, e si trova bella.
Belli i suoi occhi eternamente assonnati, con le palpebre pesanti come ombrelli sporgenti a schermare la luce; belle le sue labbra color di geranio, sgargianti come balconi fioriti in un autunno tardivo; belle le sue dita nude, e le sue mani, sempre un po' tremanti, che paiono dirigere una invisibile orchestra; bella la sua voce che si dispiega limpida, seppur incerta sulle parole, come quella di una bambina.
Canta, Martina, guardandosi nel suo pezzo di vetro, riquadro di una finestra sbarrata dalla quale scruta la linea diurna dell'orizzonte, quel tratto netto che separa il cielo dalla terra e dal mare, i vivi dai  morti, le ossessioni dalle certezze.
Ride, Martina, con la sua bocca avara di denti, mentre guarda quell'orizzonte metafisico così reale nella sua memoria e così lontano da quella sua finestra.

sabato 24 dicembre 2011

Hotel Zeta (cap. 8)


PERCORSO A RITROSO
Una volta salite sul vecchio Wolkswagen, Edmundo Reyes percorse, tutto in retromarcia, il tragitto verso l'aeroporto. Esattamente come era stato per l'arrivo, solo che ora nessuna delle sue ospiti aveva troppa voglia di parlare. Gli innumerevoli ohhhhh di meraviglia che avevano costellato la conversazione all'arrivo ora erano tramutati in silenzio.
Ognuna, a modo suo, stava dicendo addio a quel posto meraviglioso dove mai più sarebbe stato possibile ritornare.
Amaranta Dell'Antro, trincerata dietro grandi occhiali neri, man mano che il paesaggio scorreva, andava tramutando le lacrime del distacco in scintille di ricordi, facendo bene attenzione che neppure un piccolo particolare scivolasse via dalle maglie di quella sua memoria bucherellata.
Eli Joe, forse era quella meno triste, consapevole che al suo ritorno c'era un uomo innamorato ad attenderla sulla soglia di casa econ una rosa rossa tra le mani. E sulle labbra frasi d'amore. Le stesse di quella lettera non spedita, poiché lei era già sulla via del ritorno, ma che pure le aveva scritto.
Lucy Hollywood, accarezzava un lembo del suo vestito e un rosso papavero, stampato sulla stoffa, aveva aperto all'unisono tutti i suoi petali per meglio accogliere quella coccola, mentre un ramo di glicine, in piena fioritura, s'andava allungando sull'ampia gonna per giungere alla portata delle sue dita ed omaggiarla della delicatezza dei suoi fiori viola.
Clara, da sotto la frangia piratesca, continuava a scrutare il mondo dalle sue due visuali, opposte ma non contrastanti, perché la consapevolezza non esclude la fantasia, e benissimo possono convivere, che in caso di necessità l'una potrà essere di supporto all'altra. Due visuali opposte che pure costituivano un'unica. Base da cui sarebbe partita per ricostituire l'interezza di sé stessa.
Xira, cullata dal ritmo strambo del Wolkswagen, sonnecchiava tranquilla sulle ginocchia di Clara, beandosi del contatto delle sue dita, innocentemente senza nutrire rimpianti o tristezze per le meraviglie che lasciava, che per lei il paradiso era ovunque fosse Clara, e nessuno avrebbe potuto convincerla del contrario. Nessuno.

MEMORIE DI CLARA
Il mio viaggio a Nuevo Eldorado è nato da una mia esigenza di fuga, un tentativo di rompere le catene da quell'esasperante costrizione, psicologica e sentimentale, che sta alla radice del difficile rapporto con mia madre, ma in realtà, come oggi sto scoprendo, solo l'alibi dietro il quale mi sono da sempre trincerata a giustificare quella mia volontaria mancanza di azione e reazione che mi ha trasformato in carceriera di me stessa. Il mio ritorno a casa, invece, è determinato dall'esigenza, ora preponderante, di un chiarimento con me stessa, prima ancora che con mia madre: se voglio scoprire chi è lei devo prima sapere chi sono io. Solo così potremmo trovare le motivazioni per un dialogo finalmente costruttivo. Una scelta sofferta, perché Edmundo Reyes, non so in ragione di quali particolari miei meriti, mi ha generosamente offerto la cittadinanza di questo luogo unico ed incantevole, che è Nuevo Eldorado. Un privilegio raramente concesso, perché scaduto il tempo del soggiorno si è obbligati a partire, e senza la possibilità di ritornarvi. Se mi fosse stato proposto ieri avrei, senza alcun tentennamento, accettato, perché non si rinuncia così facilmente all'offerta di cittadinanza del Paradiso. Solo qualche ora fa sarei rimasta, ma poi ho seguito Xira nella foresta, l'ho vista battersi contro un nemico grande e crudele, che aveva artigli affilati, fauci assassine e sete di vendetta, mentre lei, armata solo della sua determinazione, non ha mai indietreggiato né mostrato paura, che pur doveva averne. E tanta, Ma alla fine ha vinto. La mia piccola, grande guerriera, che mi ha indicato la strada del mio riscatto. Seppure è qui che lascio il mio cuore.

 UNA RIVELAZIONE PRIMA DELLA PARTENZA
Edmundo Reyes, consapevole che sarebbe stato fuori luogo salutare le sue ospiti con un arrivederci, perché quello era a tutti gli effetti un addio, aveva optato per la formula del baciamano. Ma quando era stata la volta di salutare Clara, quel bacio glielo aveva dato sulla guancia, e poi le aveva detto all'orecchio:-  a due sole persone è stata data l'opportunità di rimanere, una sei tu e l'altro è Vincent Van Gogh. Siamo estremamente selettivi a Nuevo Eldorado. Sii fiera di te, Clara. Sempre. -

Solo quando il piccolo aereo era decollato, Clara si era resa conto che Edmundo Reyes non le aveva però detto se Van Gogh era alla fine rimasto. Ma poi aveva guardato fuori dal finestrino: sotto il soffitto di nuvole bianche andavano fiorendo, in tempo reale, distese sconfinate di campi di girasole.
Vincent era rimasto.

venerdì 23 dicembre 2011

Hotel Zeta (cap. 7)



LA SFIDA
L'imperatore Giaguaro e Xira erano rimasti, per un lungo momento, immobili a fronteggiarsi soppesando le rispettive potenzialità, cosicché Clara, in seguito, avrebbe giurato di aver captato l'ombra di un sorriso sul muso del grosso felide, a pregustare l'imminenza di una vittoria già scritta.
Il piccolo cuore di Xira batteva all'impazzata, ma lei non dava mostra di paura, non fuggiva dall'ombra gigante che la soverchiava con le nere fauci spalancate, e il collerico ruggito così potente da frantumare la roccia. Yaguar fletteva il suo corpo, flessibile e sinuoso, come quello di un grosso rettile che s'appresta, fulmineo, allo scatto mortale, ma che consapevolmente lo ritarda per godersi fino in fondo la paura dell'avversario. Il piacere sadico di concedere ancora un ultimo minuto di vita, sapendo che sarà consumato nel terrore della morte imminente. Xira, perfettamente immobile, sembrava rassegnata alla zampata mortale, quella che le avrebbe dilaniato la schiena, lasciandola paralizzata alla mercé di Yaguar. In più s'era sventatamente posizionata all'ingresso di una strettoia, un imbuto senza uscita, che le avrebbe irrimediabilmente precluso ogni via di fuga. Una trappola.
Ai miagolii sommessi dei gatti, più simili ad una mesta preghiera che ad un incitamento, si contrapponevano i ruggiti di scherno dei grandi felidi, sicuri della vittoria del loro campione.
 E, subito dopo, ecco Yaguar prodursi in quel fantastico, inimitabile balzo, che lo aveva innalzato ai fasti della leggenda, proprio mentre Xira, indietreggiando, andava sempre più incuneandosi nell'angolo cieco, in quell'utero provvidenziale che l'avrebbe messa al sicuro, resa inviolabile alla brama mortale di Yaguar che, puntando sullo scatto e sulla potenza, non aveva però calcolato le incongruenze di quell'area ristretta in cui il suo corpo massiccio si sarebbe andato ad  incastrare.
Un cozzo tremendo e il grande, invincibile giaguaro giaceva ai piedi di Xira con le zampe spezzate e i denti frantumati. Davide aveva di nuovo sconfitto Golia.
Per un lungo momento sulla foresta stordita era calato il minaccioso silenzio d'ombra che precede le eclissi, squarciato dal ruggito rabbioso di un vento che andava oscurando il cielo di foglie e di piume, ma a cui s'oppose, con un miagolio da latte, un temerario cucciolino di gatto, bianco e rosa, ancora traballante sulle zampe che ripeteva, spavaldo, la mimica di Xira nella sfida al giaguaro. Artigli sguainati e orecchie tirate indietro, il minuscolo felino era ben deciso a non cedere di un passo alla prepotenza del vento, sebbene ad ogni folata ruzzolasse a terra, ma sempre però si rialzava indomito, soffiando e mostrando gli unghioli sguainati a quel nemico inafferrabile, temibile forse più di Yaguar.
Ma ecco avventarsi sul cucciolo una tigre enorme, la bocca spalancata e gli occhi di fiamma, planare implacabile su di lui, afferrarlo per la collottola e...deporlo, incolume, sul trono dell'Imperatore.
E' quello l'atto della pacificazione che decreta la fine di quella secolare guerra fratricida, ristabilendo così gli equilibri della ragione e della meteorologia, cosicché il vento smette di soffiare e diradando le nubi in uno squarcio di turchino appaiono i due soli gemelli color melograno, quelli dipinti da Clara.
 E nell'unità finalmente ritrovata del popolo dei grandi e dei piccoli felidi esplode la festa in un'inestricabile sarabanda di code e di vibrisse, ruggiti e miagolii, le armoniose voci di un'intesa finalmente ritrovata, mentre Xira, osannata dai decani delle due tribù, pudicamente schernendosi rifiuta il tripudio e in disparte si ritempra dalle fatiche del combattimento.

L'istinto di Clara sarebbe quello di correre da Xira, accertarsi che non sia ferita, stringerla tra le braccia e condividere con lei quel momento di gloria, così come è loro abitudine dividersi felicità e tristezza, ma pure teme che la sua presenza possa risultare inopportuna, perfino imbarazzante in quello specifico momento, come la disdicevole presenza dell'estraneo in una festa di famiglia.
Su questa riflessione, a malincuore Clara s'allontana, dopo aver gettato un ultimo sguardo a Xira per avere un'ulteriore conferma della sua incolumità.
" E forse non vorrà più ripartire, rimarrà qui, regina amata dal suo popolo, quando a casa, invece, è considerata solo un'intrusa. La mia piccola Xira, grande, orgogliosa guerriera." Questo immagina Clara, intraprendo mesta la strada solitaria del ritorno.
... e come rispondendo a quell'accorato richiamo, Xira, emergendo da un punto dell'orizzonte si è silenziosamente materializzata al suo fianco.
Ha annusato nel vento l'odore di Clara, e così l'ha rincorsa e ritrovata.
Xira ha fatto la sua scelta.

MEMORIE DI EDMUNDO REYES
Ricordo perfettamente il periodo della permanenza a Nuevo Eldorado delle quattro signore di cui qui si narra. Periodo movimentato, ma piacevole. Tutti i nostri ospiti sono persone speciali ma alcuni lo sono un po' di più. Sono quelli che lasciano significative tracce del loro passaggio. Le quattro signore erano assolutamente diverse tra loro eppure, in strano modo, assolutamente compatibili. Nel gruppo regnava un bell'accordo tranne per qualche scintilla caratteriale tra Amaranta ed Eli Joe. Mai visto due temperamenti consanguinei così opposti, una fiammella rossa ed una nuvola scura in perenne contrasto, seppur molte baruffe venivano stemperate, sul nascere, dall'ironia di Lucy Hollywood e dalla dolcezza di Clara. Ed ecco ancora altri due esempi di caratteri agli estremi, lo zenit e il  nadir, la testa e i piedi dell'universo. Clara, evanescente e dolce quanto Lucy è, invece, carnale ed abbagliante
Las damas...le signore, dunque, erano adorabili ognuna alla propria maniera. Adorabili,  ma  non sempre facili da trattare. Amaranta intavolava estenuanti discussioni con le ombre dei vivi e quelle dei morti, dibattiti che la sfinivano e, alla fine, la rendevano democraticamente intrattabile con tutti. Eli Joe passava moltissimo tempo a  scrivere lettere a suo marito, confesso di non aver mai visto nessun'altro scrivere con così tanta foga, ed  era evidente che soffriva della sua assenza. Lucy Hollywood...ammetto il mio debole per lei, per i suoi abiti floreali, i capelli selvaggi e per quella sua falcata da pioniera quando, impavida s'avventurava nei recessi di Nuevo Eldorado tornandone con trofei fotografici assolutamente di gran pregio. Per questo mi è mancato il cuore di avvertirla che, una volta varcati i confini di Durango, nulla di ciò che lei avrebbe fotografato sarebbe rimasto impresso sulla pellicola. Clara, invece, la definirei un'ospite speciale, di quelli che in virtù di una loro profondissima capacità empatia con quello che viene definito "L'Universo Sensibile", lasciano tracce indelebili del loro passaggio. La sua pittura ha sostanzialmente modificato la natura astrologica e paesaggistica di questi posti, per cui qui ora l'alba sorge con due soli gemelli e le notti, dense di stelle, sono rischiarate da una fantastica luna cammellare,  ed inoltre, sempre al suo talento, dobbiamo l'immaginifico panorama dei deserti cobalto dove nascono gli alberi del sale, e i giardini di mare dove fioriscono atolli con una strana vegetazione azzurra, ocra e arancio: le meravigliose tracce del soggiorno di Clara a Nuevo Eldorado.

domenica 18 dicembre 2011

Hotel Zeta (cap. 6)


L'IMPERATORE GIAGUARO VS XIRA
Clara, in ansia per il comportamento di Xira, l'aveva seguita in una delle sue solitarie escursioni fin dentro il cuore della foresta di Nuevo Eldorado, e ciò che vide la lasciò sbalordita.
All'interno di uno slargo bivaccava una grande ed eterogenea colonia di felini, razze a lei note ed altre esotiche, raggruppati intorno ad un tronco mozzo su cuiera assiso, in posa imperiale, uno splendido giaguaro nero, ai piedi del quale i felini di tutte le specie rendevano omaggio con una sorta d'inchino, flettendo le zampe anteriori e tenendo la coda bassa, in segno di sottomissione.
L'Imperatore Giaguaro chinava leggermente, e con regale condiscendenza, la testa, o scudisciava con violenza la coda, secondo se a riverirlo era un grande felide o uno di piccola taglia.
Yaguar, questo il nome dell'Imperatore, accolse Xira con un ruggito imperiosamente aggressivo e un rabbioso staffilare di coda, perché lei non solo non s'era inchinata ma la sua coda svettava fieramente dritta su quel panorama di code basse
Per nulla intimidita da questa scortese accoglienza, Xira s'era aggregata al gruppo dei gatti che, attratti dal suo carisma e dal suo coraggio l'avevano accolta con caotico entusiasmo: i più spericolati piroettando in stravaganti salti mortali; i più temerari sguainando gli unghioli, pronti a ritrarli, però, al suo minimo movimento; i più timidi si limitavano a starle accanto, rassicurati dalla sua presenza
...mentre dall'alto del suo scranno di legno l'Imperatore Giaguaro non la perdeva di vista.
L'immensa coda del felide frustava l'aria sommovendo un vento accecante di polvere scura, quando, ergendosi in tutta la sua imponenza, d'improvviso balzò al centro dello slargo per sfidare Xira.
La sua ombra enorme incombeva sul piccolo felino con l'inesorabilità di un destino tracciato.
Perfino gli uccelli s'erano fermati in volo, sospesi in aria, timorosi che un frusciar di fronda potesse scatenare la sua collera mortale.
Ma la gattina impavida, però, con un'agile balzo era scartata di lato dove, con grande sangue freddo, s'apprestava a soppesare il giaguaro nella sua interezza: la grossa testa, le zampe possenti, i denti aguzzi, le fauci crudeli.
Sarebbe stata una lotta impari, come quella tra una farfalla ed un'aquila.
E allora, Xira, per avere una qualche chance di vittoria, decise di puntare tutto sull'agilità dei suoi muscoli e sull'istantaneità dei suoi riflessi, sperimentati nella sua dura vita di randagia, valutando che il massiccio corpo di Yaguar, scattante nei lunghi percorsi, si sarebbe rivelato, all'interno di un perimetro circoscritto, pesante e voluminoso.
Dal canto suo si sarebbe imposta d'ignorare le fauci mastodontiche ed i ruggiti intimidatori di cui l'Imperatore Giaguaro stava dando spavalda esibizione.

IPOTESI E SPERANZE
Clara, dalla sua postazione, aveva seguito col batticuore il succedersi degli eventi, temendo per la vita della sua adorata Xira, ma altresì conscia della sua impossibilità ad intervenire.
Nulla avrebbe potuto, a mani nude, contro il colossale giaguaro supportato da centinaia di altri della sua specie.
Tornare indietro e chiedere aiuto... ma quanto tempo avrebbe impiegato a ripercorrere la strada a ritroso fino all'Hotel Zeta, sperando di non perdersi?
Non c'era tempo per progettare nulla, le restava solo di confidare nell'intelligenza intuitiva di Xira, grazie alla quale, più volte, era uscita illesa da situazioni estremamente pericolose.

mercoledì 14 dicembre 2011

Bambini

Sono arrivati che era ancora buio e hanno piantato i loro tendoni e, prima che sorgesse il sole, l'accampamento era già recintato. Dietro le pareti di stoffa barriscono gli elefanti e ruggiscono i leoni. Bambini scalzi si aggirano tra i carri, in perlustrazione, poiché lo straniero, per sorveglianza, non si serve di cani da guardia né di sentinelle nelle garitte, ma ha addestrato i suoi figli a questo compito, mascherato da gioco, cosicché l'innocenza è l'ingannevole cortina dietro cui s'innesca l'esplosivo. Siamo in stato d'assedio, ma nessun'altro, oltre me, se ne è reso conto. Io ho visto i segni premonitori come quel cielo notturno così stellato, e chiarissimo, da poter sembrare un albeggiare prematuro, e poi  la repentina caduta del vento che per tutto il giorno aveva soffiato con intensità di bufera costringendoci al riparo nelle nostre case, ed ho capito che ciò che paventavo stava accadendo, e che anche Dio è dalla parte dello straniero. Non avremo quindi scampo. Dio è dalla parte del più scaltro, è una storia antica questa, che sempre si ripete. Dovrà pur vendicarsi della morte del suo unico figlio, così prolifica cattivo sperma che si diffonde nel mondo con l'invadenza di un virus sottile che genera bambini dagli occhi grandi,, svezzati come cuccioli di cane, o in base agli istinti delle altre fiere allevate all'interno dei tendoni. Pachidermi, tigri, leoni, orsi, tenuti doverosamente al guinzaglio, che questo è il loro malevolo inganno, ma già pronti ad un cenno del domatore ad azzannare. Nessuno degli ignari spettatori si salverà quando, interdette le uscite ed aperte le gabbie, sotto il tendone si darà  avvio al massacro, mentre all'esterno i bambini s'aggireranno scalzi tra i carri malandati, rincorrendosi ridendo, come stessero davvero giocando.


(ph - Steve Mc Curry)

martedì 13 dicembre 2011

Hotel Zeta (cap. 5)


SINGOLE ESPERIENZE
Nell'Hotel Zeta non c'erano computer e questo, all'inizio, aveva causato una specie di scompenso esistenziale in Amaranta, che non essendo una esteta della natura si era sentita confinata in uno spazio alieno, catapultata su un altro pianeta. Prigioniera dell'intrico amazzonico di quell'Eden primordiale, avrebbe trasformato, secondo la sua indole, in racconto drammatico questa sua sconcertante esperienza.
Eli Joe, anche lei di primo impatto aveva preso male la mancanza dei cavetti e delle connessioni, ma dopo una minuziosa esplorazione che l'aveva confermata nella certezza che la Rete in Nuevo Eldorado era ancora secoli a divenire, aveva in virtù della sua positività trasformato la tragedia in poesia. Fu durante la sua permanenza a Durango che compose i suoi versi più belli, quelli che le avrebbero dato la celebrità, e diede vita ad un appassionato carteggio privato con suo marito.
Lucy, invece, s'accingeva ad esplorare i misteri di Nuevo Eldorado con lo stesso entusiasmo con cui Leonìe D'Aunet aveva perlustrato le terre di Lapponia e il remoto Polo Nord. Dal materiale fotografico ne avrebbe ricavato un reportage i cui diritti erano già stati preventivamente acquisiti dal National Geographic, ignorando, però, che tutto quel materiale così puntigliosamente accumulato sarebbe tramutato in pellicola vuota una volta varcati i confini messicani.
Clara aveva ritrovato l'estro della pittura, ed ecco che dava vita, sulla sua tela, ad inedite e fantastiche costellazioni, come quella dei soli gemelli color melograno, che sorgevano dalla sabbia di un deserto metafisico; la luna cammellare, gibbosa e chiarissima, portatrice di piogge stellari; i paesaggi fiabeschi come i deserti cobalto, infinite distese di pietre azzurre dove crescevano gli alberi del sale, e i giardini di mare dove gli atolli solitari fiorivano di vegetazione promiscua ed inedita. Queste, ed altre meraviglie, scaturivano dal pennello di Clara, e tutto quello che dipingeva acquistava vita e tramutava i paesaggi di Nuevo Eldorado.

MEMORIE DI ELI JOE
Quello trascorso a Nuevo Eldorado è stato un periodo fantastico, se ci fosse stato anche mio marito sarebbe stato perfetto, poiché la sua assenza per me era tangibile, anche se ho avuto modo di sperimentare il romanticismo di un carteggio intimo. Imbucavo le lettere nella cassettina postale dell'Hotel Zeta e, l'attimo dopo, la missiva era già partita superando in velocità qualsiasi sistema di posta elettronica. Trovavo le sue lettere di risposta sul cuscino del mio letto, insieme ad una rosa rossa. La lontananza è una misura con cui si riesce a valutare la forza di un sentimento nella sua pienezza e nel suo ardore. Ho scritto molto in quel periodo attingendo non solo dallo sfolgorante panorama ma dalle sensazioni evocate dalla lontananza da quel mio mondo solido e conosciuto, e che mi hanno condotto ad una esplorazione e ad una conoscenza più profonda di me stessa. Di sicuro questo ha contribuito ad affinare la mia sensibilità intellettuale.

XIRA
Xira, quando non era al seguito di Edmundo Reyes, spariva per lunghe ore inoltrandosi, solitaria e circospetta, nel verde intrico amazzonico di Nuevo Eldorado. Ne emergeva al tramonto recando, sulla pelliccia arruffata, minuscole tracce di terra ed evidenti segni di lotta.

venerdì 9 dicembre 2011

Hotel Zeta (cap. 4)


MEMORIE DI LUCY
Passavamo le giornate in esplorazione di Nuevo Eldorado, scoprendo ad ogni passo strabilianti meraviglie.
La natura, fecondissima, si era evoluta in specie vegetali a noi sconosciute. E tutto era commestibile. Parlare della varietà dei fiori, dei frutti, delle erbe, sarebbe stato stilare un elenco interminabile e, oltretutto incompleto, di sensazioni e dettagli, che durante la nostra permanenza non abbiamo avuto modo di assaporare tutto. Inoltre avevamo sottoscritto il nostro impegno al silenzio. E chi crederebbe agli ALBERIFONTE, tronchi secolari dai cui rami zampilla un acqua termale, tiepida, altamente curativa, o alle CORACOLLINE, collinette bonsai che si formano in polle d'acqua salina e fioriscono di una fitta vegetazione marina, a ciuffi, molto simile a quella dei coralli, o alle MONCAVERNE, piccole alture di forma piramidale, rovesciate, con la vetta piombata nel sottosuolo e la base, invece, una pianura rigogliosa che si erge come un altare sopraelevato ed impossibile da scalare a causa della estrema ripidezza delle sue pareti e della quasi mancanza di appigli naturali. Ci si arriva solo dall'alto, paracadutandosi a bassa quota perché il rischio di precipitare lungo quelle loro fiancate è davvero grande. Molto più semplice è, invece, arrivare alla vetta attraverso un camminamento sotterraneo che s'incunea, attraverso cunicoli e gomiti, fin nei recessi dell'imbuto del suo apice. Noi lo abbiamo percorso, ed è stato assolutamente meraviglioso. Avevo tutto documentato nell'obiettivo della mia macchina fotografica ma, delle centinaia di foto che ho scattato, la pellicola non ne ha impressa nessuna.

UNA STORIA D'AMORE A NUEVO ELDORADO
Edmundo Reyes era pressoché in ogni luogo e pronto ad ogni nostra esigenza. Cuoco provetto, raffinato conoscitore di vini, suonava il piano ed il sax in maniera divina, autista magistrale, soprattutto nelle guide in retromarcia, poliglotta, filosofo e naturista, quando non era indaffarato con noi si dedicava alle sue due grandi passioni: i lavori di restauro, e di mantenimento, della struttura dell'Hotel Zeta, e nel tempo libero, novello Darwin si applicava allo studio e alla suddivisione delle innumerevoli specie e sottospecie vegetali, di cui Nuevo Eldorado abbondava.
Edmundo Reyes somigliava in maniera impressionante a Jack Nicholson, solo più giovane.
Ma le somiglianze non andavano oltre l'aspetto fisico, perché lui era assolutamente diverso anche dal suo stesso personaggio, più simile a un blasonato che a un fazendero.
Xira fu la prima del piccolo drappello femminile a lasciarsi spudoratamente irretire da Edmundo.
Lei, indomita guerriera della strada, beveva  il latte dalle sue mani a coppa, s'addormentava avvoltolata nei suoi foulard jacquard, accettava, di buon grado, che lui le irrorasse il capo con una goccia del suo profumo.
Lo attendeva paziente, tutte le mattine, sull'uscio della camera per dargli il buongiorno con la dolce sinfonia delle sue fusa, pronta ad accompagnarlo nelle sue ricognizioni mattutine, camminandogli accanto, fiera, con la coda dritta come lo scettro di una regina.

mercoledì 7 dicembre 2011

Claustrofobia Esistenziale

Sto precipitando di nuovo nel buco nero della depressione, nonostante i farmaci che regolarmente assumo, non riesco a venire a capo di me stessa, della claustrofobia esistenziale in cui sto nuovamente piombando.
La nausea della vita mi assale continuamente.

Alzarsi, vestirsi, nutrirsi, comunicare, è tutto così faticoso e fine a se stesso.
La lucidità con cui vedo me stessa, proiettata in questa dimensione, così perversa ed autodistruttiva, è assoluta ed inequivocabile.
Tra me e la vita c'è un muro.
Posso continuare a darci spallate, come fin'ora ho fatto, ma non riuscirò mai ad abbatterlo.
Nemmeno le parole assolvono più ad alcun'altra funzione se non a quella di suoni emessi dalla gola.
La nausea le va, irrimediabilmente, contagiando.

Ho escluso  i commenti da questo post perchè nessuno, alla fine, che non abbia fatto l'esperienza può davvero capire e, poi, è subentrata anche la noia di dovermi continuamente giustificare, o peggio ancora difendere, da quel "comune buonsenso" che ancor più profondamente scava un solco tra chi, come me, annaspa nelle sabbie mobili e chi, dall'altra parte, tende la mano, ma già con un giudizio sancito.

Non ci sono cicatrici nè mutilazioni: è tutto silenzioso ed intimo.
E' un malessere subdolo, incoerente, che ho cercato, in tutti questi anni, di fronteggiare.
L'ho studiato in me stessa, con la pazienza certosina di un entomologo che s'appresta a vivisezionare l'insetto alieno per scoprire la deformazione da cui scaturisce la sua diversità.
E, una volta sezionato l'insetto, dentro ci ho trovato il mio cuore, i miei nervi, le mie cicatrici esistenziali.
Ma, ancora, sono andata avanti.
Ho cercato di tramutare in racconto questa esperienza perchè sapevo che, finchè fossi riuscita a servirmi delle parole, avrei avuto ancora un minimo vantaggio, una piccola possibilità, per sopravvivere al veleno dell'insetto.
Esorcismo ed incantesimo: la voce della strega lo ha solo sedato, ma non sconfitto.

Una cosa che so di certo è che non voglio vivere nell'ottundimento mentale, respirare attraverso una cortina, ipotesi di vita, o le vite degli altri, spesso, sbrigativamente, ed inopportunamente, adotte come esempio.
Nella mia consapevolezza, contrapporre al nulla esistenziale questo star male, alla fine, significa ancora esser vivi.
 Marilena

martedì 6 dicembre 2011

Hotel Zeta (cap. 3)


CLARA
Clara, da sotto la frangia piratesca, guardava il mondo con due visuali diverse e a volte contrastanti, secondo se a scrutare fosse il suo occhio visibile o l'altro, quello nascosto dalla cortina dei capelli.
Raramente le due visuali combaciavano e non c'era di che stupirsi perché l'occhio sotto la frangia, enigmatico, provocatorio e sensibilissimo, era stato, fin dall'infanzia, in grado di esplorare quei mondi paralleli, fantastici, poetici, spesso incoerenti, che non a tutti è consentito visitare.
Così Clara aveva iniziato il suo viaggio nel mondo gattonando, con l'incoscienza dei bambini, sui lucidi specchi di Wonderland; i primi passi, quelli sperimentali, li aveva invece intrapresi sull'Isola del Tesoro; adolescente, aveva scalato in solitaria, le Cime Tempestose e da lì aveva proseguito, diretta verso la Luna, sulla palla di cannone del Barone di Munchausen. Giovane donna, aveva poi circumnavigato il mondo sulla mongolfiera di Phileas Fogg, per atterrare nei tormentati universi ciberpunk della Los Angeles di Blade Runner.

Ed ora è giunta qui, a Nuevo Eldorado, dove i fiori degli abiti sbocciano come fossero vivi, il taxi funziona in retromarcia e l'Hotel che la ospiterà è situato all'interno di un tronco ciclopico, ed intorno, all'apparenza, non c'è null'altro che natura.
Su questa sintesi concordano entrambi gli sguardi di Clara seppur, da sotto la frangia, l'occhio piratesco è entrato in allerta.

L'INTERNO DELL'HOTEL ZETA
 Avevano preso alloggio, ognuna in una stanza singola di quello strano albergo ricavato all'interno del tronco più grande del pianeta terra.
Nicchie essenziali dove non c'erano finestre ma la luce vi penetrava attraverso rami/tubi, le cui estremità, interne ed esterne, erano naturalmente cave.
I rami erano ancorati al tronco da radici laterali delineate in geometrie stravaganti, ma corpose e solide, che ben ottemperavano alla funzione di arredo e mobilio.
Sullo scrittoio, fornito di carta da lettere e quaderni, campeggiava un pennino obsoleto immerso nel liquido violetto di un calamaio.
Niente televisore, né cellulare e né computer.
Ma fu la mancanza di quest'ultimo a suscitare reazioni diverse secondo l'indole, la propensione e le aspettative individuali delle ospiti dell'Hotel Zeta.

Niente computer, e adesso come faccio?
Il disappunto di Amaranta.

Niente computer, meglio, approfitterò per scrivere lettere d'amore a Tony.
L'ottimismo di Eli Joe.

Niente il computer, ma non importa, ho la macchina fotografica.
Il pragmatismo di Lucy.

Niente computer.
Clara non ci aveva neppure fatto caso.

sabato 3 dicembre 2011

Hotel Zeta (cap. 2)


I viaggi, anche i più banali, dovrebbero sempre essere intrapresi come avventure favolose.
Per questo dovremmo imparare a viaggiare con un bagaglio leggero.
Per essere liberi da ogni tipo di catena, come può essere anche quella del manico di una valigia.

IL VIAGGIO
Il biglietto era valido a tutti gli effetti ed anche Xira poté viaggiare, all'interno della sua gabbietta, nella cabina insieme a Clara. Il minuscolo aereo era pressoché vuoto ad eccezione della presenza di tre viaggiatrici che occupavano i sedili di fondo, intente a conversare fra di loro.
Volo diretto per Durango, aveva annunciato il comandante, mentre decollavano verso le nubi, con l'abitacolo pervaso dalle note sublimi della Nona Sinfonia di Beethoven.

LO SCALO
Il piccolo aereo era atterrato in una radura dai colori aranciati dove, sullo sfondo, si delineava il bruno paesaggio di un sentiero d'alberi. Il comandante, dopo aver cavallerescamente aiutato le viaggiatrici a scendere dalla scaletta dell'aereo, vi era rientrato per apparire di nuovo con indosso la livrea d'autista.
Aveva emesso un breve fischio modulato e da dietro un cespuglio era emerso un Maggiolino Wolkswagen verde e bianco, che metteva allegria solo a vederlo.

LE PRESENTAZIONI
- Permettete che mi presenti, signore: sono Edmundo Reyes, sindaco e, come avete potuto constatare, factotum di Nuevo Eldorado. Sono doverose le presentazioni dal momento che condivideremo questo breve, ma spero piacevole soggiorno, che mi auguro si riveli  all'altezza delle vostre aspettative -
Edmundo Reyes chinandosi leggermene, elargì equamente il suo largo sorriso al piccolo drappello femminile in attesa nello slargo.
- Le tre signore già si conoscono, estendiamo la conoscenza anche alle altre nostre due ospiti: la señorita Clara y la señorita Xira. -

- Piacere di conoscerti, Clara. Io sono Amaranta Dell'Antro - Si fa avanti la bruna con la frangia, tendendole la mano. - Loro sono, mia sorella Eli Joe e la nostra amica Lucy Hollywood - Dice, ultimando le presentazioni.

Clara, incuriosita, notava quanto diverse fossero tra loro le sue compagne d'avventura: l'ombrosa Amaranta, la rossa Eli e la radiosa Lucy, cercando d'immaginare come lei potesse apparire al loro sguardo con il ciuffo obliquo della frangia color porpora che le nascondeva un occhio, come la benda di un pirata.

MEMORIE DI AMARANTA
Una volta salite sul vecchio Wolkswagen, Edmundo Reyes percorse, tutto in retromarcia, il tragitto che ci avrebbe condotto all'Hotel Zeta. Fu fantastico. Un viaggio a ritroso verso il sentiero d'alberi. Man mano che ci avvicinavamo alla macchia della foresta il paesaggio circostante veniva cancellato da una nebbia morbida mentre, sull'abito floreale di Lucy, i boccioli iniziarono a dischiudersi come fossero petali vivi.
Era come entrare, ad occhi aperti, all'interno di un sogno.
Apparve così alla nostra vista un albero dalle dimensioni ciclopiche, col tronco del diametro di diversi km, fittamente intessuto di rami pullulanti di ali e di becchi e di serici fruscii.
Una piccola foresta sulla vetta di un tronco.
 - Bienvenidas señoras all' Hotel Zeta -
Ci annunciò, con allegria, Edmundo Reyes.

Sulla vita. Sulla scrittura. Ed altri demoni

Ho liberato la mia scrittura dalla presunzione del genio riconducendola a mera esigenza personale, ed ancora ci ho ritrovato intatta tutta la mia passione.
(Amaranta)

Blogosphere mi ha dato la grande possibilità, col rendere pubblici i miei scritti, di vagliare personalmente il mio valore di scrittrice e ne sono emersi, prima ancora che i meriti, i limiti.
La fatica di scrivere partendo dalle mie limitatissime esperienze personali e col supporto di una cultura, seppur molto entusiasta, essenzialmente autodidattica e nozionistica, mi ha edotta di non essere assolutamente in grado di aspirare ad alcun altro traguardo da quello offerto da un blog.
In realtà il gioco della scrittrice mi seduce ancora ma, cadendo le ambizioni di protagonismo letterario, quello che resta è solo "pelle viva" e, d'altronde, ho sempre ritenuto arido lo scrivere senza esser letti, motivo per cui non ho mai tenuto un diario ma piuttosto ho coltivato l'abitudine degli appunti e delle annotazioni.
La certezza, oggi, è che non sarei potuta diventare null'altro che quella che sono per via della mia indole e dei miei bisogni esistenziali, della paura di vivere, di affrontare il mondo come singola persona.
Non credo al destino ma ad una nostra connaturata propensione a renderlo reale.
La paura di vivere ha compromesso la mia capacità sperimentale e, quando il castello di certezze e di agi della mia vita matrimoniale si è sfaldato, sono rimasta allo scoperto, assolutamente sola, in balia del mondo e delle mie insicurezze.
Un mondo che conoscevo davvero poco essendomi io volontariamente reclusa in una esistenza quotidiana e selettiva, tenendo a freno le mie irruenze, mortificando i  miei desideri, decapitando le mie aspirazioni: il risultato è stato quello di essere una donna a metà, insoddisfatta ed incompleta.
Mi sono limitata a sopravvivere non riuscendo neppure a sfruttare quegli agi, quelle sicurezze, per cui avevo sacrificato buona parte di me, ma contribuendo, invece, in maniera efficace, a costruire l'infelicità a due.
Il mio estremo bisogno di rassicurazioni, quelle che nell'infanzia mi sono mancate, le ho cercate nella mia vita di adulta, all'interno della coppia e, col matrimonio, nell'ambito della famiglia che andavo costituendo.
L'opera, a cui mi sono accinta per lunga parte della mia esistenza, si è rivelata, alla fine, una mostruosità inconfessabile anche a me stessa.
A dire il vero, in tutti questi anni, non sono stata neppure troppo capita, forse mi sono anche espressa male, ma è questo che accade quando passivamente si accumula insoddisfazione, frustrazione e noia.
Negli anni del mio matrimonio mi sono letteralmente occultata al mondo.
I capelli eternamente spioventi sugli occhi, mi nascondevo dentro maglioni over size.
Avrei potuto permettermi un armadio di vestiti e ne avevo solo lo stretto indispensabile.
Mi rinnegavo.
Scientemente, non sono voluta esistere.
E' triste ammetterlo ma come donna sono venuta fuori dopo la separazione.
Per sopravvivere, prima ancora che per una scelta di emancipazione.
Marilena

mercoledì 30 novembre 2011

Hotel Zeta (cap. 1)


I viaggi più belli sono quelli che ci conducono alla conoscenza di noi stessi e delle nostre capacità inesplorate."

Dedicato a Claudia Moon, con tutto il mio affetto vero e la mia amicizia più sincera.
  
LA LETTERA
 Hotel Zeta
Nuevo Eldorado
"Direcion Conocida"
Durango (Mex)


Gentile amica, abbiamo accolto la sua richiesta di soggiorno presso la nostra piccola ma accogliente cittadina, come lei sa, interdetta, per motivi strutturali e di preservazione, al turismo di massa.
Per quanto ci riguarda abbiamo trovato eccellenti, e nobili, le motivazioni per cui lei ha inoltrato questa sua richiesta e siamo davvero lieti di accoglierla nella nostra comunità.
L'attendiamo con gioia ed impazienza per quel fecondo scambio, culturale ed affettivo, che è alla base della nostra etica nazionale.
In attesa del suo arrivo calorosamente La salutiamo
Edmundo Reyes
Sindaco di Nuevo Eldorado


P.S. In allegato a questa lettera troverà sia il biglietto aereo che il coupon della prenotazione a suo nome, e a nostre spese, presso l'Hotel Zeta di Nuevo Eldorado.
¡Albricias!

 NUEVO ELDORADO
Clara, stupita, continuava a rileggere la lettera non riuscendo a raccapezzarsi di un tale invito dal momento che lei non aveva inoltrato alcuna richiesta.
Di sicuro uno sbaglio.
Ma il nome e l'indirizzo corrispondevano.
Cercò Nuevo Eldorado su Wikipedia che lo rilevò in una minuscola macchia rossa, un piccolo punto, nell'estensione più vasta e colorata di verde dove si configurava lo stato di Durango, nel Messico centro - settentrionale.
Nuevo Eldorado, allora, come attestava Wikipedia, esisteva davvero.

CLARA & XIRA
Clara sottopose il quesito a Xira, la gattina che se ne stava a dormicchiare in un angolo di poltrona.
- Cosa ne pensi di tutta questa faccenda? Strana, davvero. Però c'è un biglietto d'aereo ed una prenotazione a mio nome, forse l'ipotesi di questo viaggio non la dobbiamo scartare a priori. Magari è uno scherzo, arriviamo all'aeroporto e se ci dicono che il biglietto non è valido, ok, facciamo dietro front e ce ne ritorniamo a casa, A lei, alla mamma, però, non diciamo nulla. 

- Cosa non dovresti dirmi? -
Clara era sobbalzata alla voce improvvisa di sua madre. Non l'aveva sentita entrare.
- Ti ho detto un' infinità di volte che non voglio vedere il tuo gatto in giro per casa, tanto meno dormire sulle poltrone -
- Non capisco il tuo fastidio, mamma, dal momento che Xira vive relegata nella mia camera -
- Semplicemente non voglio animali in casa. Quando avrai una tua casa potrai trasformarla in un'arca di Noè e, in quel caso, non avrò nulla da ridire -
- Credevo che questa fosse anche casa mia -
- Certo che lo è, ma ci sono regole da rispettare e sai che non amo gli animali. In particolare i gatti -
- A quanto pare, mamma, tutto quello che io amo tu sembri detestarlo -
- Non dire sciocchezze, ho accettato persino il colore assurdo con cui ti sei tinta i capelli -
- Non l'hai accettato dal momento che me lo stai rinfacciando -
- Va bene, Clara, non potrò farti lo scalpo ma il tuo gatto va fuori -

Xira, guerriera indomita della strada, avvezza alla vita dura dei randagi, non oppose alcuna resistenza quando Clara, con dolcezza, la prelevò dalla poltrona dove stava sonnecchiando ignara dell'alterco famigliare che la sua presenza aveva scatenato, per essere trasferita nel riparo di fortuna, allestito per questo tipo di emergenza in un angolo del cortile.
- Partiamo, Xira, è deciso. -

lunedì 28 novembre 2011

Ode alla musica






ODE ALLA MUSICA

Sento le sue metastasi attecchire ai miei organi interni
immenso è il mio desiderio
e la mia voglia di disintegrarmi in lei.
In questi momenti valico il confine dei sensi.
E da lei mi lascio interamente possedere.

domenica 27 novembre 2011

In tutto questo tempo ho solo girato in tondo e sono di nuovo qui, al punto di partenza

9 Gennaio 2008

L'ANTRO DELLA STREGA
 Qui ci sono io determinata ad esistere nonostante il mio malessere per la vita, con tutte le mie fobie, le mie insicurezze, la mia timidezza camuffata da spavalderia.
Questa è la mia casa: una sola stanza dalle pareti nude, un ingombrante divano rosso, come unico arredo, e una grande vetrata con sontuosi tendaggi spalancati sull'esterno.
Striscia, s'aggroviglia, si snoda dilatandosi infine, come un' enorme pitone che inghiotte il silenzio, "Hysteria" dei Muse: benvenuti nell'antro della strega.

Definizione letterale di ANTRO ricavata dal mio vecchio dizionario Zingarelli della lingua italiana: Antro: s.m. 1 Caverna, spelonca. 2 fig. Abitazione misera e tetra.
Definizione femminile di ANTRO: buco caldo, umido e vischioso dall'odore intenso ed acidulo.
Buco che sputa la vita, che espelle placenta, che gorgoglia mestruo, che rutta piacere.

.....eppoi c'è l'antro del malessere per la vita, cella di Guantanamo, stretto maleodorante orifizio claustrofobico, seppellito sotto l'asfalto della metropoli.
Buco insidioso, crudele bugia di un cratere che si apre verso un cielo sfilacciato ed impreciso, in realtà trappola di sabbie mobili e viluppi di alghe che ti legano le caviglie per sprofondarti verso l'abisso.
E' su questo buco di cratere che ho iniziato a costruire il mio antro, tra il cielo e l'abisso, apprendista funanbola, in costante precario equilibrio, su una corda tesa tra un mondo buio e l'utopia della luce
Ho deciso di tendere le mie braccia verso quel pezzetto di cielo, polveroso e sbiadito, ma pur sempre orizzonte, e magari non ce la farò a volare davvero, ma bisogna pur sempre tentare l'ebbrezza dello slancio, qualunque sia il risultato finale.

Voglio farlo parlando d'amore.
Voglio parole forti e dolci.
Voglio che vengano gridate o anche solo sussurrate.
Voglio i colori intensi di un cielo vero.
Voglio tutte le sfumature delle nubi.
Voglio puntare verso il sole.
Voglio le ali dell'angelo.

Dò il benvenuto in questo antro a tutti coloro che hanno urgenza di parole di vita e di amore
Mai fermarsi davanti ad una porta sbarrata
Nessun divieto d'accesso alla polveriera
MARILENA


martedì 22 novembre 2011

Un mondo possibilmente stabile

...però qualcosa si è spezzato in me, nonostante  la mia risolutezza e la mia caparbietà di andare avanti, nulla è più come prima, nè forse sarebbe giusto lo fosse. Sarebbe come voler credere che il valore dell'esperienza è circoscritto al momento del presente, che non lascia code, positive o negative, o solo d'intensa riflessione.

Tanto di quello che io ho profondamente amato è parte di un mondo che non c'è più: e questo è la prova che l'eternità è solo un concetto umano, che il tempo è composto da fasi, e che noi viviamo tante vite ed abitiamo tanti mondi, in una unica esistenza.
Il mondo dell'infanzia, dell'adolescenza, del mio periodo matrimoniale e quello del dopo, non esistono più, cioè, continuano ad esistere i luoghi ma molti di coloro che li abitavano sono morti, altri andati via, altri ancora diventati estranei.
Ciò che prima mi apparteneva un giorno non è più stato mio: cancellati i miei punti di riferimento, annullate le parentele, universi interi inghiottiti da una morte o da un abbandono.
Ma pur rimane sempre l'esperienza.
Dio, quanto ci piace questa parola e quanto a sproposito la usiamo.
Se fosse vero il valore assoluto dell'esperienza non si farebbero più errori o, almeno, non si ripeterebbero, ma tante e diverse sono le occasioni che ci offrono opportunità di sbagli, che non abbiamo che l'imbarazzo della scelta per commetterne di nuovi.
Poi, dalle rovine, quasi sempre subentra l'imperativo della ricostruzione.
Dallo sfacelo di un mondo se ne ricava uno nuovo (passando attraverso il detto del "chiudi una porta, si spalanca un portone" peccato, però, che non valga per tutti) più bello, più solido, con dentro più opportunità.
Personalmente è da un bel po' di anni a questa parte che cerco di ricostruire salvando dalle macerie il salvabile, ma il portone, per me, non si è mai aperto nonostante mi sia spellata le dita a bussare e a gridare per palesare la mia presenza, e la mia volontà di passare dalla porta dei vincenti.
La mia timidezza esistenziale, l'insicurezza, i rifiuti e gli schiaffi, le occasioni mancate, il non esser davvero capita e, forse, qualche volta di troppo, solo usata, questo di certo non m'incentiva nel tentativo di ricostruire ancora una volta un mondo, forse l'ultimo, che gli anni non sono più dalla mia parte.
Un mondo possibilmente stabile, equilibrato quando occorre dal supporto dei farmaci e dal mio sempre più stentato autocontrollo; libero, dove quello che conta è la mia volontà e le mie esigenze  (non desideri, che quelli sono altra cosa); indipendente, che questa è la conquista più bella, e forse l'unica cosa davvero positiva, che io abbia prodotto.
L'amore, in questa ipotesi di nuovo mondo...non lo so, io sono una persona strana, timidissima nel pubblico quanto tumultuosa nel privato, di certo non ho mai lesinato sui sentimenti.
Oggi sono di nuovo sola, ma in realtà, se vado a rileggere le mie due passate e più importanti esperienze sentimentali, il mio rapporto matrimoniale durato ventitre anni e questa lunga relazione durata, tra prendersi e lasciarsi, più di dieci anni, mi rendo conto di non averle sapute gestire, togliendo troppe opportunità nel primo caso e concedendone, invece, in sovrabbondanza nel secondo.
Ma è pur vero che il periodo del mio matrimonio è stato il più rassicurante della mia vita, quello dei progetti e della loro realizzazione, quello del calore della casa e della famiglia, soprattutto della condivisione.
Tutto quello che è accaduto dopo è stato un salto nel buio e senza rete.

Ma non è un vuoto recriminare il mio, o dare voti, (che a me stessa darei uno zero assoluto) ma una presa di coscienza, un capire quanto si può sbagliare e ostinatamente continuare nello sbaglio, sapendo poi che nella desolazione che sempre sopraggiunge, non ci sarà nessuna parola capace di consolarmi, nessuna carezza in grado di rianimarmi.
Guardo le mie macerie esistenziali e piango.
Ma vado avanti.
Perché al bivio della vita c'è solo quello della morte.
Altre ipotesi non riesco a prenderle in considerazione.


giovedì 17 novembre 2011

L'universo delle donne

Dedicato alla mia amica Lucy

 Occhieggia, dalla finestra del suo tondo, questa Medusa Floreale, tra volute di petali viola, rossi e porpora, e tralci di verde splendente, irrorando di colore la parete disadorna del mio appartamento, laddove s'apre la stanza buia che introduce direttamente nel mio antro.
Ancora una donna a popolare la mia casa.
Eh si che le donne, quelle virtuali e quelle reali, hanno avuto, in questo mio presente, una rilevanza speciale, di sollievo e di conforto, e di rappacificazione col mondo esterno verso il quale, da sempre, nutro un rapporto d'amore e d'odio, di curiosità e di disagio, di accettazione e di rifiuto.
Le donne, mai come in questo momento le ho sentite così vicine, solidali e sorelle, pronte a spendere una parola, a colorare un momento, ad elargire un abbraccio, una protezione.
Come la Medusa Floreale del tondo Panarello, opera di Lucy Fel, la mia amica blogger, no......amica e basta, che l'amicizia non ha bisogno di specificazioni e, poi, di Lucy Fel c'è solo lei, inconfondibile e personalissima.
Questo quadro, che lei ha dipinto per me e voleva mi rappresentasse, in realtà incarna l'intero universo delle donne: la fantasia, l'affabulazione, la bellezza, l'intelligenza, la seduzione, la magia.
La bellissima creatura, Medusa e Strega, dalle labbra imbronciate e dagli occhi di smeraldo, meravigliosamente rappresenta l'immagine che io ho della donna: tiranna, dominatrice, seduttrice, dispensatrice di gioia e di dolore.
Femmina, sopra le righe, eccessiva, teatrale, vivida, visibilisima, persuasiva e sensuale fino allo stordimento.

Lucy le ha dato un volto, partendo dai colori che più mi piacciono, quelli del mio arcobaleno privato, e forse, non sapeva, neppure lei, che la sua opera andava oltre, avendola dotata di un' anima senza smagliature, questa Medusa Floreale (così io l'ho chiamata) avrebbe potuto reclamare, di diritto, un aureola fluorescente perchè, forse, dietro i serti di fiori, si cela una Madonna Rinascimentale, con un lungo, sontuoso, abito bianco e rosso, mentre i piedi nudi dalle unghie laccate di vermiglio, ed una cavigliera gitana che tintinna ad ogni suo passo, ad ogni soffio di vento, ad ogni sospiro d'erba, ne denunciano l'indole trasgressiva.
Madame Medusa ha occhi di ramarro e labbra di monella (Costanza ed Elvira), il Tondo Panarello è arrivato prima, il racconto dopo, forse ho subito il fascino occulto di questa nuova coinquilina, Medusa e Strega ed ora anche Madonna Rinascimentale, aggiungo talentuosa suonatrice di cimbali ma, benissimo, potrebbe essere tutto ciò che la mia fantasia m'ispira.
E, per questo, più appropriato sarebbe, forse, che io la ribattezzassi col nome di Musa.
Marilena

sabato 12 novembre 2011

Una donna tenace

Esser donna è meraviglioso.
Inestimabile esserlo consapevolmente.
Finalmente rappacificata col mio mondo intimo, sento risplendere tutto in me.
Perfino la tristezza, nota inscindibile del mio carattere, ha ora toni di luce e di cristallo.
I miei capelli, come scure corolle, s'aprono al vento e, mentre vesto colori autunnali che s'intonano ai miei occhi, dentro sento vivificare una femminilità libera, emancipata, gioiosa.
Il lungo periodo buio, medievale, è alle spalle, sono per la prima volta nella mia vita davvero libera, attenta alle mie esigenze, in armonia col mio sentire, indipendente, forte, orgogliosa.
E bella.

Oggi, davvero, non rimpiango le mie scelte, quelle del passato e quelle del presente, né conservo rancore neppure per chi di  male me ne ha fatto, e tanto, perché di  tutto l'amore che era in me, alla fine, non se ne è disperso neanche un grammo, nonostante il trascorso inferno della mia vita sentimentale, è rimasto intatto, aleggiante come un profumo sottile, inebriante.
Incorrotto.
La cosa peggiore che poteva accadermi, quella di sopravvivere a me stessa, non è avvenuta.
Alla fine sono davvero una donna tenace.

Il passato è lontano.
Il presente è meraviglioso.
L'amore è ancora una ipotesi sublime.
Marilena

mercoledì 9 novembre 2011

Sulle emozioni

Finalmente il racconto è terminato: personalmente ne sono molto soddisfatta, è tra quelli che mi piacciono di più.
Sono ben conscia (come mi ha fatto notare l'Imperatrice Camilla) che non è di quei racconti che destano emozioni, ma nessuno dei miei racconti ne suscita. Non è questo il loro scopo primario, ma l'indagine, il parallelo psicologico, il recondito "io" dei protagonisti che si racconta tramite me.
E' come guardare un abito dal suo interno: vagliare la robustezza della fodera, constatare la solidità delle cuciture, rammendare eventuali strappi. La manifattura esterna dell'abito posso immaginarla secondo il mio gusto o quello imposto dal racconto, ma è l'interno che metto in evidenza: il colore stridente della fodera, i rattoppi grossolani, il disegno della trama non sempre combaciante e gli sfilacciamenti che, seppur tagliati, ritornano a fiorire, copiosi, come piante endemiche.
Ho portato il paragone dell'abito ma, altresì, potrei fare la stessa comparazione col corpo umano, il suo esterno ed il suo interno: la levigatezza dell'epidermide e l'invisibile escrescenza cancerosa germogliata nello stomaco.
E' la psicologia che a me interessa, quella che nei miei racconti anima la storia.
E cos'altro sono le emozioni se non terminazioni neurologiche organizzate dal nostro cervello?
I concetti che noi definiamo astratti forse, e secondo il mio personale parere, lo sono molto meno di quello che ci piace credere.
Così il turbamento amoroso è solo una palpitazione cardiaca accelerata (o rallentata), proporzionata all'intensità della  nostra attesa, dal presupposto del piacere che ne ricaveremo e dalla certezza, probabile, del nostro appagamento.
Presupposto e probabile, come ho scritto dianzi, perchè basta un nulla, nelle faccende emozionali, a stravolgere il tutto, trasformare  il paradiso in inferno e, l'angelo che prima governava il nostro destino, assumere le sembianze di un mostro.
Le nostre azioni sono prima ancora che emozionali psicologiche.
Per questo ho chiamato al banco degli imputati l'amore, vestito col suo abito girato al  contrario, a testimoniare d'inganni e disinganni, illusioni e delusioni, certezze ed incertezze.
Insomma è sempre l'amore, infine, la materia di cui abbondantemente si nutrono gli scrittori, i cantautori ed i poeti.
E gli uomini comuni.

domenica 6 novembre 2011

La strega Elvira, la fata Costanza e i capricci dell'innamoramento non convenzionale (capitolo 12)


EPILOGO E CRITICA
E così bisognerà pur chiuderla questa storia, che doveva essere espletata in quattro capitoli ed invece ne sono occorsi ben dodici. L'argomento mi ha sedotta, soprattutto il lato psicologico, che più di questo si tratta che di  tema di sesso. Seppur il titolo, scaltramente ammiccante, può aver tratto in inganno. Ma ecco, ora davvero siamo giunti a quel punto finale che conclude i patimenti in reiterato dolore o in letizia finale.
Per chi il castigo e per chi l'assoluzione, e per chi, in mancanza di prove testimoniali, il non luogo a procedere.
Perché è questo, alla fine, il difficile compito dello scrittore, trovare un finale in cui tutto armoniosamente converga.
Ad ogni modo è saggio ricordare che anche gli autori sono soggetti alla partigianeria, l'importante è conservarne la consapevolezza quel tanto che basta per non inquinare la storia.

QUASI TUTTE LE STORIE INIZIANO DALLA FINE
Costanza s'affacciò nel sogno inquieto del Portoghese, lo vide correre lungo la carretera che sprofondava nel baratro, appena in tempo per ghermirlo, con i pallidi artigli dell'aquila, e collocarlo su una nube limitrofa a quella dove transitava, sospinta dagli alisei, la madonnina dalla caviglia ferita.
Il turchino dell'orizzonte si andava tingendo di viola, per poi incupirsi di nero, via via che le due nubi gemelle s'allontanavano col loro carico pesante di virtù e di struggimento.
Nell'istante parallelo, il Portoghese, si mosse nel letto al suo fianco, obliato dall'amnesico profumo di loto del suo ventre, mormorò il suo nome prima di riaddormentarsi e sognare di star risalendo la parete di un burrone aggrappato ad una lunga treccia bionda. Quando poi era emerso in superficie lei lo aveva accolto con naturalezza, nel suo ventre, senza altra magia se non quella dell'amore.

LA PITONESSA
Quella sera, Madame, lo aveva atteso invano al solito bistrot.
S'era arrabbiata nel modo in cui solo una strega può fare, dopo aver scoperto che Costanza era contravvenuta alle regole pattuite, usando la magia per entrare nel tumultuoso sogno del Portoghese, e trarlo in salvo.
Quest'inganno, questo oltraggio estremo ai regolamenti della disputa sarebbe costato, alla sua rivale, l'ostracismo ed il disonore, ma lei...lei aveva comunque perso.
Non c'era più in campo la bravura, la genialità della strategia, ma l'orgoglio della donna abiurata, il suo nome dimenticato, non per difetto d'amore, ma per via di un'astuzia, di quell'inganno con cui l'altra glielo aveva portato via usando la magia laddove ne era stato stabilito il divieto.
Madame s'era arrabbiata nel modo in cui solo una dea può fare, urlando nel suo mondo ed in quelli limitrofi, la sua giusta ira, con rimbombo di tuono che deflagra in fulmine e sommuove le acque, terremoto di terra e di mare,  eclissi e capovolgimenti termici, l'antartide ardente come un deserto, ghiaccioli sulle gobbe dei cammelli, e Parigi..le merveilleux Paris, ridotta all'occhio cieco di un ciclope, oscurata, buia, ristretta alle dimensioni di un bistrot dove una sparuta, ed alquanto impaurita, rappresentanza della fauna umana, composta per lo più da sartine, commessi, studenti della prospiciente Académie Des Beaux-Arts, un gruppetto di militari in libera uscita, una coppia adultera, si era rifugiata al suo interno senza immaginare di cacciarsi nelle spire mortali di una  pitonessa.
Che questa era la spettacolare immagine che Madame esibiva di se stessa: una pitonessa raggomitolata nelle sue spire e costretta a partorire, con dolori uterini ed in pubblico, la colomba dalle ali tarpate che testé aveva appena divorato come cena.

E così, quella notte, l'incolpevole Parigi fu in balia delle sue doglie, ostaggio circoscritto nella esigua planimetria del bistrot.

Perfino gli atei, quella notte, auspicarono l'avvento miracolistico dell'Arcangelo Michele, il guerriero redento, colui che schiaccia la testa al drago, così da salvare gli ostaggi dall'ira apocalittica della strega tradita.


QUANDO LA MATEMATICA CONFLUISCE NELLA METAFISICA
 La matematica, ci è stato in questa storia ampiamente dimostrato, che non ha come scopo primario solo la risoluzione di complicati teoremi e la loro applicazione nei campi ad essa ascrivibili (quantità, spazio, strutture e calcoli) ma questa disciplina è estendibile all'intera metafisica dell'universo.
E' stata la matematica, e non la filosofia, a rivelarci la realtà dei molteplici universi paralleli:
quelli scientifici dei numeri, delle statistiche, delle equazioni. Della logica
quelli sotterranei dei sentimenti, degli amori, delle collere, dei tradimenti. Delle passioni
quelli irraggiungibili, delle streghe e delle fate.
...e quelli insondabili, dei naufraghi dall'amore obliati.

SOPRA LA SUPERFICIE DELLA CROSTA TERRESTRE
Il Portoghese destato era rimasto a contemplare la bellissima Costanza che ancora dormiva, lo splendido viso incorniciato dall'aureola diafana dei capelli, e una sua mano, ferma nel gesto di una carezza, posata sul petto di lui. Il Portoghese aveva sorriso al ricordo della notte appena trascorsa, a quel loro rincorrersi, perdersi e ritrovarsi, nei voluttuosi amplessi che l'avevano costellata, eppure...
...eppure in tutta quella luce aleggiava, in una zona del suo io più recondito, uno spazio vuoto, irrisolto. Come un ricordo malamente cancellato, che premeva per tornare alla memoria.
Il bisogno istantaneo di una sigaretta lo aveva indotto ad alzarsi, facendo attenzione a non destare la sua meravigliosa amante immersa nella soavità del sonno. Istintivamente aveva allungato la mano a cercare il portasigarette d'argento e le sue dita avevano trovato, invece, un foglietto su cui era scritto:

J'aurai peut-être encore besoin de vous.
À bientôt
M

Non avrebbe saputo spiegare perché quel breve messaggio, di cui nulla ricordava del mittente e neppure perché fosse finito sul suo tavolino, aveva suscitato in lui una sensazione così intima e profonda, di gioia dolorosa, di primitiva esaltazione, di sublime eccitazione.
Istintivamente predisponendosi all'attesa, mentre fuori la notte ardeva dell'incandescenza di miliardi di stelle che andavano illuminando il cielo come fosse mattino.

venerdì 4 novembre 2011

Quasi tutte le storie iniziano dalla fine

Camilla mi dice che questo racconto è un orrore.
Mostruosamente arrogante, seppur pieno di buone intenzioni (lei è ferma all'idea della mia scrittura come forma terapeutica, è convinta che prima o poi venga via da questa "bolla di sapone", che è la sua definizione di Blogosphere)
Le piace come scrivo ma non le è piaciuto il soggetto ed aspetta, nel finale, un mio atto di redenzione.
- Il finale, da solo, non basterà a farti piacere la storia -
- Quasi tutte le storie iniziano dalla fine -
Replica convinta, sicura che anche per me, tramite l'abiura, potrebbe esserci una sorta di peccatorum absolutionem.
Ha ragione, però, quando afferma che spesso le storie iniziano dal finale, l'ho ribadito io stessa in altri post ma, forse, con questo racconto cerco davvero una fine che sia quello di un sigillo, una ceralacca inamovibile con la quale chiudere definitivamente un periodo.
Ed iniziare dalla fine......da quella parte del racconto in cui Il Portoghese sogna una carretera che termina in un baratro, di nuovo in bilico, solo che ora riesco a guardare nell'orrido senza tentazioni autolesioniste.
- Il tuo racconto è una provocazione senza soggetto esplicito -
Anche questo non è vero, il soggetto è esplicito per me. E solo per me. Nessun carico aggiuntivo a chi pazientemente ha letto questo lunghissimo racconto, frammentato, poco scorrevole, rendendomi conto che il blog non è lo strumento migliore per scrivere storie troppo lunghe ed articolate.
Ha ragione, l'Imperatrice, quando parla di arroganza, non intende in senso dispregiativo, no, io ho ben capito il senso del suo discorso, del perchè a lei non piace questo racconto che pur legge, per farmi piacere, seppur con la fretta di arrivare alla fine del capitolo, immaginando che ce ne sarà ancora un altro e, dopo undici, arriverà l'ultimo, finalmente quello definitivo, perchè è vera quella storia che preferisco i numeri pari e, se devo chiudere, o iniziare qualsiasi cosa, addirittura che ci sia un numero tondo o un mese tondo: Ottobre è la perfezione.
Ma Ottobre è solo stato attraversato da questa storia, iniziata a Settembre e che si concluderà, col dodicesimo capitolo, a Novembre.
Ma per me è uno dei racconti che più mi piace, scritto con convinzione, cambiato più volte dall'inizio, la storia e i caratteri dei protagonisti, soprattutto Il Portoghese, che volevo diverso da ogni uomo che avessi conosciuto e, nel contempo, li rispecchiasse tutti.
Non lo so se ci sono riuscita, la verità è che spesso ci si innamora di un sogno.
Marilena
P.S. - L'ultimo capitolo lo dedicherò a te, Camilla, che stai leggendo, per amore mio, una storia che non ti appassiona.

martedì 1 novembre 2011

La strega Elvira, la fata Costanza e i capricci dell'innamoramento non convenzionale (capitolo 11)


LA SOLITUDINE
L'emotività è un fattore di cui siamo obbligati, in questa trama, a tenere in debito conto, perché dopo estenuanti attese anche il più fiero degli uomini s'arrende alla propria solitudine o, se è fortunato, cade nelle braccia di un'altra donna, senza chiedersi se quello che sente è necessità di un rifugio o qualcosa che somiglia, sia pur vagamente, all'arroganza di quell'amore di cui, consapevolmente, aveva accettato il giogo.
La solitudine, e l'emotività che da questa scaturisce, sono alla base della maggioranza dei rapporti che s'instaurano per scongiurare il rischio di rimanere soli e, soprattutto, per non esser risucchiati dal proprio vuoto interiore.

REFUGIUM PECCATORUM
Il Portoghese sfoglia la donna turchina, un petalo dopo l'altro, ma non è il suo nome che gli affiora alle labbra, ma quello dell'altra.
 Costanza, però, non ha finto di non avere udito, anzi ha raccolto quel nome con grazia e lo ha tramutato in un bacio.
La bocca ridente e i capelli ingarbugliati, mentre l'ultimo petalo turchino cade a terra lasciandola completamente nuda.
Più sirena che madonna, piuttosto incantatrice di serpenti, ad indicare il cammino verso l'antro, il buio refugium peccatorum, spalancato tra le sue cosce.
Lo accoglie così nell'incavo delle lisce pareti della sua conchiglia, dove gli permette di esplorare, a suo piacimento, gli stretti sentieri odorosi di alga che lo accolgono umidi, e già schiusi, al suo passaggio.
Il potere del grembo di una sonna è molto più seduttivo di qualsiasi arte magica.
Ne è consapevole, Costanza, che sente dentro di lei l'amante dilatarsi e poi cedere nel parossismo dell'orgasmo, in un singulto violento che è quasi un singhiozzo, ed è il suo nome, questa volta, che lui invoca.
Non è una vittoria, lo sa bene Costanza, che l'altra ha sapientemente marcato il suo territorio, che distintamente ha  percepito sul suo corpo il profumo amaro di Elvira, e ha captato, in lui, l'attimo prima dello stravolgimento orgasmico, uno struggimento latente, doloroso, come lo smarrimento remoto di un bambino che affamato s'attacca alle mammelle della nutrice, confuso di sentire un odore diverso da quello della madre.
Non è una vittoria, lo sa bene Costanza, che l'altra lo possiede fin dentro l'anima, dove lo ha marchiato con la semiluna delle sue unghie e lo domina con l'arroganza del suo predominio.
E, per la prima volta da quando è iniziata la spietata disputa, lei prova un sentimento vero, di tenerezza, verso quell'uomo irrimediabilmente perso anche per se stesso.

IL SOGNO DEL PORTOGHESE
Il naufrago oltrepassava la soglia della chiesa marina diretto all'altare sovrastato da una madonnina malinconica, scolpita nell'atto di sollevare con una mano un lembo di veste, da cui s'intravedeva una caviglia scheggiata, ridipinta di un rosa troppo acceso.
Uno sfregio di crosta su un'epidermide di biscotto.
La madonnina gli sorrideva e lo invitava ad avvicinarsi al suo piedistallo.
Ma più lui s'avvicinava più andava aumentando la distanza che lo separava dall'altare, come se la breve navata acquistasse lunghezza ad ogni suo passo.
Più avanzava e più la distanza aumentava.
La madonnina era immobilizzata nella base del suo piedistallo, per di più con una caviglia ferita, quindi doveva esser lui a raggiungerla.
Allora il naufrago iniziò a correre mentre la navata si andava trasformando in una carretera insidiosa, con trappole che improvvise s'aprivano al suo passaggio, e animali feroci che sbucavano dal nulla.
Ma lui, tenace, continuava a correre nonostante la carretera terminasse in un baratro, e la madonnina, arrancata al suo piedistallo, s'involava su una nuvola di passaggio.

martedì 25 ottobre 2011

La strega Elvira, la fata Costanza e i capricci dell'innamoramento non convenzionale (capitolo 10)


UNA MINUSCOLA TRACCIA D'AMORE
Madame era riapparsa d'improvviso, e solo brevemente, il tempo necessario per gettare di nuovo nelle ambasce dell'abbandono il Portoghese. Notte travolgente in cui la bellissima signora aveva dato il meglio di sé in un lussurioso festino, appassionato e crudele, come era nel suo stile.
Quando lui all'alba s'era destato, frastornato ed eccitato, interamente pervaso dal profumo amaro di Madame, lei non c'era già più.
A ricordo della notte appena trascorsa giaceva, dimenticata sul cuscino, la mascherina nera con la quale lei aveva messo in scena la sua lussuriosa performance, mentre la sua firma d'autrice, o meglio, la marchiatura del suo possesso, si evidenziava sul corpo del Portoghese, dal torace alle parti più intime, nelle impronte delle sue unghie, simili a falci di luna scalfite sulla pelle.

J'aurai peut-être encore besoin de vous.
À bientôt
M

Lesse e rilesse più volte, con fervore esaltato, questo laconico messaggio.
Era la prima volta che Madame gli lasciava qualcosa di scritto, elargendogli la fortuna di custodirlo nelle sue mani, e di poter imparare a memoria le volute di ogni lettera, gli spazi, la punteggiatura, gli accenti, e di poterlo persino immaginare pronunciato dalla voce di lei.
Aveva fantasticato l'intera mattinata su quel breve rigo, analizzando l'ipotesi psicologica di  reconditi subliminali messaggi d'amore, ecco, d'amore, una parola che una donna orgogliosa come Madame non avrebbe mai pronunciato.

J'aurai peut-être encore besoin de vous.
À bientôt
M

"Avrò ancora bisogno di voi", aveva scritto nel biglietto, e questo faceva ben sperare dal momento che lei gli aveva confidato, durante il loro primo incontro, la facilità con cui le persone le venivano a noia.
"Avrò ancora bisogno di voi": questa frase sembrava quasi contenere una minuscola traccia d'amore.
La mascherina nera e quel foglio di carta, finalmente decifrato nel suo giusto significato e che avrebbe gelosamente custodito come una mappa del tesoro, andarono ad arricchire il bottino del suo forziere di pirata.

CONFIDENZE  E DICHIARAZIONI
Portoghese - Mi trovate ridicolo? -
Costanza - Certo che no -
Portoghese - Lei mi ha in pugno -
Costanza - Talvolta è il destino di chi è innamorato -
Portoghese - Ma lei non mi ama -
Costanza - Non serve essere in due per aver diritto all'amore -
Portoghese - E voi? -
Costanza - Io sono innamorata di voi -
Portoghese - Ma io non vi amo nello stesso modo in cui voi amate me -
Costanza - In qualunque modo mi amate a me sta bene -
Portoghese - Meritereste di più -
Costanza - Forse -
Portoghese - E di questo foglio, di questo suo scritto, cosa ne pensate? -
Costanza - Ha bisogno di voi -
Portoghese - Ma non specifica come, né quando e neppure perché -
Costanza - Ha bisogno di voi, dovrebbe bastarvi. A me sarebbe sufficiente.
Portoghese - Siete incredibile, ed io sono pazzo-
Costanza - Pazzo, ma non noioso. Per questo siete ancora il suo favorito -
Portoghese - Non ambisco ad essere il favorito, ma l'unico -
Costanza - E' questo l'errore in cui s'incappa nelle questioni d'amore: essere il numero uno, il numero unico. Io so di non esserlo per voi, eppure son qui, cheto la vostra disperazione, vi consolo, v'induco alla positività. E' il mio modo d'amarvi, scevro  dall'amarezza  di un numero primo -
Portoghese - Vi state facendo beffe di me -
Costanza - Sono assolutamente sincera -
Portoghese - Io non potrò mai amarvi come amo lei -
Costanza - Io non ve l'ho chiesto, né lo vorrei. Io non sono lei, sono altro ancora. Almeno questo riconoscetemelo -
Portoghese - Siete bellissima e state sprecando tempo con me, potreste avere legioni di spasimanti pronti per voi a qualunque follia -
Costanza - Avete ragione quando dite che ho schiere d'innamorati pronti a far follie, ma torto quando affermate che sto sprecando il mio tempo -
Portoghese - Quindi anche voi inseguite la follia?-
Costanza - La mia follia siete voi -
Portoghese - E i vostri amanti?-
Costanza - Ognuno di loro ambisce ad essere per me il numero uno, il numero unico, allo stesso modo in cui voi aspirate ad esserlo per lei. Nulla di nuovo sotto il sole, amico mio. Come vedete siete in buona compagnia!-
Portoghese - Di nuovo vi burlate di me -
Costanza - Attento, Monsieur, quando vi compiangete diventate noioso e lei, come sappiamo, non sopporta la noia e, a dire il vero, neppure io. Ma io vi amo e sono disposta a fare un'eccezione...purché non diventi la regola. Monsieur, avete il  mio permesso di amarmi anche senza amore

lunedì 24 ottobre 2011

La strega Elvira, la fata Costanza e i capricci dell'innamoramento non convenzionale (capitolo 9)


"Sola non cura il mio triste languire,
e sola il può curar; chè solo a lei
il mio viver è in mano e il mio morire."
(Matteo Maria Boiardo - Amorum libri tres)

UNA DONNA FUORI DAL COMUNE.
Quanto Madame per sua natura era arrogantemente portata a celare, tanto, invece, la biondina sfacciatamente amava esibire.
Si era data a lui senza infingimenti, con un entusiasmo univoco, senza esigere promesse né appellarsi agli emendamenti dell'amore.
 Neppure aveva mai chiesto chi fosse l'altra, quella di cui lui farneticava e della quale nel sonno mormorava il nome.
Cancellare quel nome dalla sua memoria sarebbe stato per lei facile, un gioco di magia elementare, ma le amnesie, gli stordimenti e i filtri, erano strategie vietate in quella particolare disputa.
Ovviamente, Costanza, era ben dentro la storia dell'altra, della quale una notte era stata alleata e complice in un sessualissimo menagè a trois, e in quello stesso letto, non solo ne conosceva il nome ma l'aveva vista in azione e da subito aveva capito che si sarebbe dovuta confrontare con un'avversaria assolutamente da non sottovalutare.
Elvira, il suo talento, lo aveva da subito esibito: era stata sublime nel rendere schiavo un uomo che nella vita era nato padrone e altro ruolo mai aveva rivestito, riducendolo in catene ai suoi piedi di amante distratta, indifferente, capricciosa.

Arduo, se non impossibile, è ora il compito della fata Costanza, che è quello di scalzare la strega dal cuore e dai sensi del Portoghese, essendosi inoltre impegnata a non trasgredire alle regole prestabilite in base alle quali, in questa particolare sfida, avrebbe vinto la più arguta e non la più tecnologica.
La biondina dagli occhi turchini ha valutato che non le conviene stimolare un qualsiasi confronto sia pur indiretto con Madame, da cui sicuramente ne uscirebbe perdente, perché ora che lui ha conosciuto la disperazione dell'amore non corrisposto si renderà inaccessibile a qualsiasi altra possibilità che possa comportare un rischio simile.
Nella strategia psicologica che Costanza va elaborando, Madame non deve essere oscurata ma, al contrario, fatta risplendere

Il Portoghese è un guerriero senza più corazza, sà di esser nudo e vulnerabile, sà di aver ceduto la sua inalterabilità ad una donna e, ancor di più, è cosciente della visibilità del suo stato emotivo.
Ha permesso ad una femmina di violarlo, non darà a nessun'altra la possibilità di ripetere l'evento.
Ma ha pur bisogno di convincere se stesso prima ancora che il mondo, che quella riuscitissima profanazione non è stata opera di una cacciatrice raminga, un'avventuriera solitaria, una sua pari ma, piuttosto, di una donna fuori dal comune, perchè a nessun'altra sarebbe riuscita una simile impresa.
Forse una dea.
Forse una strega.

LA STRATEGIA DI COSTANZA
La biondina dagli occhi turchini aveva letto quel pensiero nascosto che la confortava sulla saggezza della strategia che andava programmando: Madame non deve essere oscurata ma, al contrario, fatta risplendere.
Se lui voleva credere, per orgoglio personale, che quello fosse amore, che lo credesse pure, lei non l'avrebbe dissuaso anzi, con forza lo avrebbe sostenuto nel suo convincimento.
Quello di cui nel caso specifico abbisognava al Portoghese, non era un sinonimo di Madame né un suo contrario, ma piuttosto una complice che lo supportasse in quella sua menzogna consolatoria, testimoniandola vera, esaltandola all'occorrenza, per trasformare il guerriero violato in un eroe straordinario e drammatico.

Orgoglio ferito, virilità offesa, sentimenti calpestati...niente di tutta questa disperazione sarebbe mai trapelata dal confessionale privato di Costanza che, fedele a quella sua iniziale promessa di cogliere il suo penultimo respiro, in anticipo lo avrebbe fatto sentire assolto da tutti i futuri peccati.

venerdì 21 ottobre 2011

La strega Elvira, la fata Costanza e i capricci dell'innamoramento non convenzionale (capitolo 8)


IL PENULTIMO RESPIRO
 Ho voglia di baciarvi perchè l'amore vi sta uccidendo e vorrei essere io quella che coglierà il vostro ultimo respiro -
- Non me ne vogliate ma il mio ultimo respiro sarà solo per lei, per la donna che amo -
-  Allora coglierò il penultimo -
E lo bacia sussurrandogli: vi prometto che sarà un lungo, eccitante, penultimo respiro.
E' un giuramento che la biondina pronuncia con voce seria e nel suo accento straniero che confonde le vocali, cosicché il Portoghese se ne intenerisce e con un dito sfiora quelle labbra che si sono posate, un attimo prima, sulle sue.
Lei dischiude la bocca e a lui pare un istinto innocente quella punta di lingua che risponde alla carezza del suo dito, che lui non sottrae e lei non rifiuta, ma che complice morde, solletica e lusinga.
Lo eccita, trascinandolo nella lussuria di un gioco privato sfacciatamente esibito nello splendore delle luci del bistrot affollato.

IL FATTORE X
Il Portoghese non era un novellino da iniziare alle pratiche del sesso che, nella sua burrascosa carriera di dongiovanni ne aveva viste e fatte ed escogitate, anche d'inedite.
Ma puntando arrogantemente solo su stesso, estimandosi numero uno, anzi numero unico, non aveva tenuto in alcun conto che nel calcolo delle probabilità ci potessero essere altri, seppur remoti, numeri uno e numeri unici.
In barba a tutti i suoi diabolici calcoli matematici, riguardanti la teoria delle possibilità, erano saltati tutti gli algoritmi, cosicchè la casualità si era tramutata in necessità (Elvira) e la necessità aveva generato una nuova casualità (Costanza) che aspirava ad evolversi, in necessità.
Lui rappresentava il fattore X, quello di collegamento, l'innesco della miccia che, senza le dovute accortezze (ed è evidente che egli le ha abbondantemente eluse per via di quella sua eccessiva sicumera) ora rischiava di esplodergli in mano.

NUMERO UNO. NUMERO UNICO
Madame gli aveva rubato l'anima e lo aveva reso assolutamente vulnerabile, follemente innamorato e completamente dipendente da lei.
In questa fase esistenziale, e per lui  nuova, alla stregua di un adolescente inesperto sulla sintomatologia del male che lo stava divorando, si era barricato nella solitaria trappola delle introspezioni, laddove gemmano i sofismi filosofici e dilaga l'ermetismo poetico (materia, quest'ultima, a lui del tutto sconosciuta).
Non era la sua una gelosia di tipo convenzionale, (la disperazione d'immaginare Madame nuda tra le braccia di un altro) ma, piuttosto, la certezza dell'impossibilità di poterla davvero possedere.
Avrebbe accettato, senza alcuna amarezza, l'ipotesi di Madame amante di un altro uomo, o di tutti i maschi del pianeta, a patto che a lui fosse riconosciuto il ruolo di referente prescelto per una correità quasi consanguinea.
Quasi incestuosa.
Ma lui, numero uno, anzi, numero unico, era invece parimenti trattato alla stessa stregua di tutti gli zero, adoratori di Madame.

martedì 18 ottobre 2011

La strega Elvira, la fata Costanza e i capricci dell'innamoramento non convenzionale (capitolo 7)


 MAI PRIMA
...quando aveva varcato la soglia del bistrot gli era sembrato che lei lo stesse aspettando.
La biondina dagli occhi turchini gli sorrideva e con un cenno della mano, lo invitava al suo tavolo.
Era molto bella...ma non era Madame.
Sono davvero perso.
Pensò, immaginandosi come in quel momento appariva, impalato davanti alla porta, un intralcio con l'espressione stralunata.
Eppure c'era stato un tempo, neppure troppo remoto, in cui egli stesso avrebbe, in tale circostanza, sollecitato il gioco, rallentando o accelerando i tempi della recita, per rendere più eccitante ciò che gli sembrava fin troppo facile ottenere.
Ma tutto questo apparteneva al tempo prima di Madame.
Perchè lei lo aveva irretito col miele scuro del suo ventre e stordito col suo buio profumo, reso schiavo delle sue voglie e delle sue negazioni, completamente dipendente da lei.
Mai prima aveva vissuto così intensamente una donna.
Mai prima era appartenuto davvero a qualcuna.
E questo gli faceva dolere la pelle, ardere il sesso, vivere in continuo stato d'allerta emotiva.
Ma non bastava, ancor di più avrebbe voluto essere un dito, un dente, un lobo, un capezzolo di Madame, per essere parte viva di lei, e non gli sarebbe importato se quel dito, quel dente, quel lobo o quel capezzolo, avrebbero eccitato un altro uomo.
Lui ambiva ad appartenerle completamente.

UN UOMO SENZA  PIU' MISTERO
La biondina dallo sguardo turchino era così diversa da Madame, come il giorno dalla notte.
Lei sembrava fatta di luce quanto l'altra era permeata di tenebra.
J'ai envie de vous embrasser.

Era uscito dalle sue labbra naturale come un respiro: né richiesta, né proposta, ma desiderio.
J'ai envie de vous embrasser.
Perchè?
Era la prima volta che chiedeva il perché ad una donna che volesse baciarlo.

Ho voglia di baciarvi perchè l'amore vi sta uccidendo e vorrei essere io quella che coglierà il vostro ultimo respiro.
Così aveva risposto lei, seria, a quella sua domanda
Dunque il seduttore di un tempo era diventato, per colpa di Madame, un uomo senza più  mistero, facilmente abbordabile in un caffè da una biondina graziosa e molto perspicace che gli si proponeva come officiante per quell'ultimo atto: colei che coglierà ultimo respiro dalle sue labbra.
Un tempo, prima di Madame, era lui che coglieva, che disarmava, che costringeva alla resa per poi darsi alla fuga, lasciandosi dietro tumulti di sospiri, temporali di lacrime e l'inconsolabile disperazione di tutte le donne che aveva, nei suoi banditeschi approcci, reso vedove prima ancora della promessa di nozze.

Ma ora ecco che questa biondina, dagli occhi turchini e la bocca di monella, schiettamente gli palesa  la realtà evidente di ciò che egli è diventato: un agonizzante.