Dedico questo blog a mia madre, meravigliosa farfalla dalle ali scure e dal cuore buio, totalmente priva del senso del volo e dell'orientamento e, per questo, paurosa del cielo aperto. Nevrotica. Elusiva. Inafferrabile.

domenica 31 gennaio 2010

Perfezione

L'Imperatrice Camilla, dopo aver letto i miei ultimi post, ha concluso che a me manca un bilanciamento emozionale.
Le ho chiesto se per bilanciamento emozionale intendesse il mio squilibrio umorale ma no, lei ha precisato che il suo riferimento era proprio nel campo delle emozioni.
Stai emozionalmente inaridendo.
Questo il suo verdetto.
Inizia a fare qualcosa, Mari, o la vedo dura stavolta.
Impasticcati pure, se questo ti aiuta a calmare le ansie, ma non avvoltolarti nel tuo idilio comatoso col nulla.
Stai disimparando l'amore.
Quest'ultima affermazione, dura e perentoria, mi ha molto colpita.
La mia amica Camilla di equilibrio emozionale se ne intende perchè ne ha fatto il perno della sua vita dal momento che la sua fisicità, erompente e generosa, l'avrebbe portata su altri sentieri se non si fosse imposta una ferrea autodisciplina.
Alla quale mai ha trasgredito.
E su inderogabili regole ha costruito le fondamenta della sua vita perfetta.
La perfezione esige sacrificio.
Questo il suo motto.
Ma io e lei, come già altre volte mi è capitato di sottolineare, siamo donne diverse, per indole e per esperienze di vita.
Siamo speculari.
Forse, per questo, siamo così affascinate l'una dall'altra.
Ogni divergenza tra noi, deve essere subito appianata. Pace immediata.
Durano poco i silenzi dell'orgoglio.
Abbiamo troppo bisogno di riappacificarci per poter poi riprendere a duellare, senza armatura e senza esclusione di colpi, su qualche altra questione.
Tra le due, in apparenza, sarei io la più bisognosa delle sue attenzioni.
Del suo affetto protettivo.
Come dei suoi rimproveri.
Ma sappiamo che non è così.
La perfezione è anche noia.
Questo è  il mio motto.
E nell'imperfezione sono io la più brava in assoluto.
Posso lasciarmi andare.
Inveire, con il trucco disfatto ed i capelli scarmigliati.
Dire cose stravaganti.
Arrogandomi il diritto di crederci.
E di essere creduta.
Essere meno. Essere più.
Lei ha bisogno di vivere, attraverso me, queste cose che la sua perfezione le inibisce.
La perfezione non ha un più o un meno.
La perfezione è un punto fermo.
Litigheremo per questo post.
Un duello all'ultimo sangue.
Ma la nostra amicizia vive anche di questo.

giovedì 28 gennaio 2010

Ritratto in nero

Insomma, ultimamente ho ritirato fuori tutte le mie cianfrusaglie antidepressive.
I miei feticci.
Per combattere le mie segrete distimie.
Il mio pallore anemico e le nere palandrane.
I funerei crespi del mio malessere.
La frangia e gli occhiali scuri, perennemente incollati sugli occhi.
Le labbra rosse, sono l'unica nota di colore.
Che risultano così nitide, eccessive, nel biancore della mia immagine.
Mi aggiro come un fantasma teatrale, annunciata dal tintinnio dei miei monili.
E dal profumo amaro del mio malessere.
Una presenza discreta. Incolore.
Sono le mie mani, callose e sciupate, a ricordarmi che appartengo ancora a questa vita.
Sono le mani di una donna terrena queste che distendono le pieghe del vestito.
Spazzolano i capelli.
Pennellano di rosso le labbra.
Queste mani che dovrei rivestire di una pelle nuova.
E di nuovi desideri.
Ma ho smesso di desiderare da tanto tempo.
E di sognare.
Così anche le mie ali si stanno incancrenendo, private dello slancio del volo, sono sempre più strettamente pressate sulle mie spalle, come some che curvano la schiena.
Ali appiccicose. Pesanti.
Zavorra. Sotto la quale rischio, continuamente, di rimanere schiacciata.
Se non fosse per queste mie mani, callose e sciupate, con le quali mi sfioro e sfioro il mondo, cercando di afferrare la vita, potrei ben convincermi di non essere davvero io la donna terrena, vestita di nero e con le labbra di fiamma, che scrive le pagine di questo diario, ma la protagonista di una storia raccontata per immagini su una pagina di romanzo.

Marilena

sabato 23 gennaio 2010

Fottere la signora


Non amo perdere.
E so barare da Dio.
Per questo non perdo mai.
Cosa credevi di fare?
Pensavi fosse facile fottere la signora.
Ma una donna che sa barare ha sempre in serbo una sorpresa.
Sono brava nel mio gioco
La migliore.
Eri nel mio mirino.
Eri tu la preda.
E non l'hai capito.
Ti ho accarezzato con la lingua.
E sussurrato ipotesi.
Stordito col mio profumo.
Ed irretito con la mia collaudata arte.
Nell'illusione di un gioco facile.
E già scommettevi sulla tua buona sorte.
Pronto a reclamare il diritto del campione.
Dichiarando in anticipo le tue sudice carte.
Ma l'asso vincente era nelle mie mani.
E' sempre stato lì.
Non era contemplata, per te, alcuna possibilità di vittoria.
Ma solo la tua partecipazione emotiva al gioco, per rendere più vera la mia finzione.
Perché anche chi come me bara, desidera, almeno una volta, poter perdere.

venerdì 15 gennaio 2010

La scimmia sulla schiena

Si sveglia al mattino con me.
Mi fa compagnia nel silenzio della notte.
Solo un respiro, flebile e gelido.
La sua presenza è tutta in quel respiro.
Lo sento tra i capelli.
Mi sfiora l'orecchio.
Soffia sulla mia guancia.
E' un alito freddo.
E' viva, la scimmia che mi porto attaccata sulle spalle.
E' viva.
Nel gemito ovattato dei suoi polmoni.
Non posso vederla.
Ma la sento.
E' appesa alla mia schiena.
Uno zaino. Un fardello.
E così che vivo.
Con quella sacca da viaggio saldata alle mie spalle.
Come se fossi sempre in procinto di partire.
Di andarmene.
Come se ci fosse un treno che mi aspetta in qualche stazione lontana.
Ed io non conosco la direzione.
E' la scimmia che mi guida.
A volte leggermente spinge, con colpetti decisi, per sveltire il mio passo.
E' sempre lei a decidere il percorso.
A volte soffia il suo alito gelido nelle mie orecchie.
Ed allora so che devo fermarmi.
Quanto durerà l'attesa, non mi è dato sapere.
Insieme aspettiamo un treno invisibile, su un binario pieno di nebbia.
E' come sostare in uno specchio eternamente appannato.
Ce ne è così tanta di nebbia.
La nebbia e l'alito gelido.
E quel freddo cattivo che rosicchia le ossa.
E s'accovaccia nelle budella.
Per scaldarmi cerco di raccogliermi in un pugno.
Inutilmente.
Sono come un feto rattrappito in un utero dissanguato.
Talvolta, invece, per una sua qualche ragione, la scimmia s'immobilizza.
Allenta la presa.
Respiro, di nuovo, con i miei polmoni.
Lunghe boccate avide di aria tiepida.
Un vento buono, che sa di primavera.
E m'illudo di aver vissuto solo l'angoscia, momentanea, di un incubo.
Allora so che posso ancora rimanere
Per quanto tempo, però, non mi è dato di sapere.

ANNOTAZIONI
Per William Burroughs la scimmia sulla schiena era la sua dipendenza dall'eroina e dalla morfina, di cui lui, appassionato sperimentatore, ne faceva abbondante uso.
La scimmia, erano i sintomi dell'astinenza che si manifestavano con dolori lancinanti alla schiena, causati dalla fine dell'effetto anestetico dell'eroina.
La mia scimmia, invece, è la depressione.
L'astinenza dalla vita.
Un vuoto, doloroso ed incolmabile, che si spalanca a riempire un desiderio di morte.
Un auto annullamento.
Marilena

giovedì 14 gennaio 2010

Una formica consapevole

Quando ho iniziato a scrivere questo blog non potevo certo prevedere come si sarebbe, nel tempo, evoluto.
Non è stato sempre facile, per me, continuare a scriverci.
Tante volte ho pensato di chiuderlo.
Quando ho iniziato a postarci, in un periodo davvero orrendo della mia vita, c'era l'esigenza di far capire a chi mi stava vicino quanto stessi male.
Quanto fosse difficile, per me, andare avanti.
Una richiesta d'aiuto.
Di comprensione.
Che non sempre ho avuto.
Spesso, anzi, sono stata fraintesa.
Osteggiata. Per amore.
Per protezione. Per paura.
A volte mi sono incasinata da sola.
Sovente, hanno provveduto gli altri.
Volevo solo raccontare. E raccontarmi.
Con le mie parole. Il mio sentire.
Chi ha la presunzione di scrivere, anche se solo in un blog, deve godere comunque della piena libertà di espressione.
E della fiducia di chi gli sta vicino.
Deve poter attingere a parole e concetti, senza crearsi il problema del conseguente impatto.
Censura, ed autocensura, non dovrebbero esistere. Asssoluta libertà di espressione.
E di movimento.
Perchè fare esperienze significa anche entrare in contatto con altre realtà.
Il rischio di sbagliare un giudizio.
Accordare fiducia a chi non la merita.
O credere sinceramente in un'amicizia che ti si rivolterà contro.
Ma è anche scoprire persone fantastiche.
Storie. Contrapposizioni. Confronto.
Condivisione. Solidarietà.
Blogosphere è anche questo.
Ma devi starci in piena autonomia se vuoi avere questa libertà di azione e di pensiero.
Devi essere sgravata dal peso del giudizio di chi ti conosce. Che assolutamente condiziona.
Creando sensi di colpa, anche laddove non dovrebbero essercene.
Ed il timore che le critiche sulla tua persona possano rischiare di coinvolgere anche chi, a te, si rapporta.
Scrivere, significa non avere argomenti tabù.
Parlare di tutto.
Raccontare. Stravolgere.
Inventare. Studiare.
Ma è difficile farlo con l'assillo di un giudizio o di un'apprensione emotiva, sempre vigile.
Frustrante il doversi continuamente giustificare.
Combattere per ogni parola scritta.
E, talvolta, trovare solo l'umiliazione del silenzio.
Ricominciare, in anonimato, da un'altre parte...ma è questo il mio blog.
Qui ci sono due anni di vita.
Ogni pagina del mio diario è un momento vissuto.
Le mie battaglie vinte. E quelle perse.
Analisi. Intuizioni.
E, per tutto questo, nella mia vita reale, ho pagato un prezzo altissimo.
Un prezzo spropositato se si ridurrebbe, il tutto, alla gestione di un blog come semplice passatempo.
Ma, per me, è stato qualcosa di più grande. Più personale.
La riscoperta entusiasmante della mia antica passione per la scrittura.
Una cosa bella, ed assolutamente mia, costruita giorno per giorno, con l'impegno instancabile di una formica che, avendo scovato un'enorme pezzo di pane, sproporzionato per le sue dimensioni ma, avendo lei deciso che quello è il suo cibo migliore, se ne carica una briciola a viaggio, ben decisa a trasportare, a pezzettini, tutta l' intera forma.
Non importa quanti viaggi sarà costretta a fare per raggiungere il suo scopo.
Quante volte dovrà fermarsi. E poi ripartire.
Se la pioggia rischia d'inzuppare quella sua mollica, si fermerà sotto un sasso aspettando, pazientemente, che spiova.
E se il sole, invece, minaccia di asciugarne la morbidezza, la trasporterà in un viaggio notturno.
E' il cibo più buono quello che faticosamente va trascinando.
E vale la pena dello strazio di tutte quelle manovre.
E' questo, per me, il mio blog.
Molliche di pane.
Il cibo migliore.
Per questo ho lottato.
In questo ho creduto.
Oggi sono ad un bivio.
E devo consapevolmente decidere la direzione da prendere.
Cosa fare di questa esperienza.
Tornare in un cassetto, con i miei fogli ed i miei scritti, al sicuro degli stravolgimenti e dalle intemperanze del mondo, oppure continuare, per non vanificare il lavoro di ricerca e di analisi che, ostinatamente e a dispetto di tutto, ho compiuto in questi due anni, su me stessa e sulla mia scrittura.
Quei miei racconti che non cambieranno la storia della letteratura, ma hanno cambiato me. Mi hanno resa migliore.
Una formica consapevole.
Che ha sminuzzato solo una parte di quella forma di pane.
E non ne ha disperso nemmeno una briciola.
Marilena

lunedì 4 gennaio 2010

domenica 3 gennaio 2010

L'amore virtuale

Sollevo la gonna allargo le gambe che stanotte vorrei non fosse solo sussurro di voce ma dita di carne che mi frugano il sesso ed il ventre con mani vischiose di umido intrigo solerti lascive ingiuriose che il corpo s'adegua e l'anima pure ai sensi oltraggiati che reclamano lingua e dita furiose che non placano l'urto che toglie il respiro e riduce al silenzio il battito sordo delle tempie e del cuore che non è più solo cuore ma corpo di pelle di seni di gambe di sesso bagnato e di voglia che cresce e si espande e trasborda con voce affannata che implora ed impone e s'allarga come onda invasiva che tutto sommerge in un grido di gola e di denti e di unghie ed annaspa nel vuoto in cerca di peso che pur quella voce appartiene ad un uomo con occhi e capelli e mani e sesso e non solo ad un fiato rauco e sospeso che imprime e dirige comanda ed implora ancora ancora ancora come se di dita e di bocca fosse fatta la voce e coppa il ventre che supino raccoglie lo spruzzo finale e se ne imbeve e stravolge ancora ancora ancora evocando quel membro di carne a toglier la voglia che pure persiste e non s'assottiglia e diventa lamento e poi solo silenzio.