Dedico questo blog a mia madre, meravigliosa farfalla dalle ali scure e dal cuore buio, totalmente priva del senso del volo e dell'orientamento e, per questo, paurosa del cielo aperto. Nevrotica. Elusiva. Inafferrabile.

mercoledì 28 ottobre 2009

L'addio

Non posso più continuare la nostra storia, amore mio.
La notte mi sveglio con la sensazione inquietante dei suoi occhi che mi osservano.
Rimango immobile. Fingendo il sonno.
Ma nel buio sento la fissità dolente del suo sguardo.
E' così fragile. Vulnerabile.
Forse sa di noi.
Eppure, non dice nulla.
Troppa è la sua paura di perdermi.
Ha aumentato le sue premure.
Tracce della sua presenza.
Messaggi.
Del suo amore incondizionato. E sofferente.
Stamani, sulla mia scrivania, ho trovato un bocciolo di rosa.
I petali, ancora tutti strettamente serrati, tranne quell' unico che giaceva solitario.
Come una lacrima di sangue.
Ho provato una stretta al cuore.
Intuendo la sua disperazione.
Muta. Remota.
Trattenuta.
E sono riandata, col pensiero, al nostro ultimo incontro.
Alla stanza inondata dalla luce chiarissima del giorno.
Al tuo odore aspro.
A quel mio perdermi nelle tue ombre più scure.
Cercare la notte dentro di te.
E rannicchiarmi nel tuo buio.
Per poter aderire ancora più intimamente alla prepotenza del tuo desiderio.
La voluttà delle tue braccia, amore mio, ha reso schiavo il mio cuore.
Così corro, ogni volta che posso, con il cuore che batte furioso e le tempie che pulsano, già umida di desiderio, alla nostra stanza clandestina.
Per consegnarmi a te.
Alla carnalità del tuo buio.
Dimentica dei doveri.
Delle regole e del rispetto.
E di quella che un tempo ero.
Prima di trovare te. Perenne notte.
E consapevolmente perdermi.
Ma stamani non posso ignorare la lacrima di quel bocciolo.
Quella muta richiesta, sulla mia scrivania.
E così mai più correrò alla nostra stanza segreta.
Mai più lambirò il tuo aspro sapore.
Mai più sosterò sul tuo ventre.
Mai più. Mai più. Mai più.
Amore mio.
Leggerai questa lettera di addio.
E sarai furente. E mi odierai.
Incapace di comprendere le ragioni della mia scelta. E l'inganno del tuo destino.
Mentre io sto piangendo.
Maledicendo quel petalo di rosa.

Anteprima

domenica 25 ottobre 2009

Mondi paralleli. Ed intersecanti

Questo racconto è dedicato a tutti coloro che perpetrano, con entusiasmo e convincimento, l'imperitura arte della narrazione.

A Lucy (Felinità)
A Massimo (achab-aleister-achab)

MONDI PARALLELI. ED INTERSECANTI

La porta non è chiusa a chiave (fiducia o distrazione?) e così, per entrare, basta solo pigiare la maniglia e ritrovarsi nel raffinato set fotografico di Lucy.
A quest'ora deserto.
Atmosfere morbide. Luci soffuse.
Molta penombra.
Spicca, con la compatta luminescenza di una cera bianca, la statua di marmo raffigurante un giovanissimo Cristoforo Colombo che, un tempo, scrutava il mare dalla loggia panoramica del Castello del Capitano De Albertis. Dalle alture ventose di Genova.
Mentre ora medita assiso in questo elegante studio, con lo sguardo rivolto verso l'ampio riquadro di una porta-finestra.
Lucy ha volutamente privilegiato la scultura di una luce fredda.
Per sottolineare l'assenza d'anima di questo giovane Colombo che continua a perpetrare la sua vacua fissità di esploratore.
Indifferente ai luoghi di appartenenza.
E di collocazione.
Lo sguardo ostinatamente proteso verso il mare.
Ogni altra prospettiva gli è negata.
Perchè questo è stato il volere artistico dello scultore.
Il giovane marinaio continuerà così, nella sua eterna fissità, a cercare il mare anche là dove il mare non c'è.
Mare, che ora intravede nell'incoerente distesa di tetti e colombaie, sommersi dalla spuma delle nubi più basse del cielo di Genova.
Con le tegole che ne emergono come isolotti illusori. E promontori irrangiungibili.
Terre da esplorare.
Altitudini su cui piantare una bandiera.
Lucy ha usato come tenda, per quell'apertura, un sontuoso panneggio di broccato verde proveniente da Tara. L'antica residenza yankee della famiglia O'Hara.
Unico tendaggio sopravvissuto giacchè con l'altro Rossella ci confezionò, in stato di bisogno, l'abito per un ballo.
Così, il mare illusorio che la statua del giovane Colombo ingannevolmente continua a mirare, è quel sontuoso broccato proveniente dalle Americhe.
Dietro la pesante cortina una lucida alba ametista dilaga su un paesaggio di tronchi neri. E rami spioventi. Piegati, sotto il peso squilibrato delle foglie e dei fiori.
E dei nidi strategici dei papppagalli.
E delle scimmie ancora assonnate. Precariamente abbarbicate alle liane.
Mi aggredisce il profumo olfattivo della frutta matura.
E quello paludoso delle polle circoscritte.
Quello pregnante dell'humus.
Della terra fecondata.
Perennemente gravida.
La porta- finestra dello studio fotografico di Lucy si apre su un mondo immaginifico.
Forse per la distrazione di un meridiano.
O per l'amnesia di un parallelo.
Ma non è più Genova. Transitoria e portuale.
Notturna. Nell'ora dei meridiani terrestri.
Ma la leggendaria Foresta Viola.
Affiorata in quest'alba ipnotica. Fantascientifica.
Il paradiso dell'Eden, che nessun esploratore è riuscito mai ad intercettare nel travaglio delle rotte e dei marosi.
O via terra.
Battendo regioni desertiche e giungle labirintiche.
Con gli aghi impazziti delle bussole, senza più funzione alcuna d'orientamento che, ossessivi, indicano sempre e solo un unico, ipocondriaco, punto
Nord. Nord. Nord. Nord.
I quattro punti cardinali sconfessati dalla certezza, sempre più preponderante, della possibile realtà di un quinto.
Da decodificare negli ingarbugliati teoremi delle scienze geografiche.
E di quelle astrofisiche.
Ed ecco affiorare, nella vetrosa trasparenza dell'aurora, l'illusoria Foresta Viola.
Che si espande nell'insondabile intrigo delle liane e delle piante pioniere.
Nel morbido inganno dei funghi saprofiti stimolati dall'insidia, fucsia e tentatrice, delle orchidee.
Tra afrodisiaci effluvi di pepe, vaniglia e noce moscata.
E sciami d'insetti trasparenti.
Luccicante velo della Fata Dea.
Strascico vivo della sua veste boreale.
Fata benefica della flora e della fauna.
E delle albe rosate. E dei tramonti purpurei.
Signora assoluta, nell'incorruttibile cuore, del saggio principe achab-aleister-achab.
Sovrano di questo vergine dominio, per fortuna irragiungibile dai crocevia terrestri.
E, sulla scia luminescente dei piccoli insetti, m'addentro nel cuore animalesco della Foresta Viola.
Seguendo le orme della Fata Dea.

venerdì 23 ottobre 2009

Domina

Uomini. Cibo per le mie emozioni.
Alimenti da sminuzzare tra i denti.
Impoltigliare di saliva.
Spingere nella gola.
Espellere.
Uomini dolci e amari.
Uomini mangiati.
Solo provvisori nelle mie viscere.
Non ho mai finto.
La finzione è qualcosa che non mi riguarda e non mi attrae nemmeno nel gioco.
Tutto realmente vero.
Sapevano. E nessuno mai si è sottratto.
Audaci Ulisse, incatenati agli scogli.
Assordati dal rumore della tempesta.
Arsi dal sole.
In attesa.
Le mie trappole strategicamente visibili.
E nessun canto di sirena ad irretire.
Nessun inganno.
E' questa l'emozione più grande.
L'accettazione totale.
La sottomissione implorata.

mercoledì 21 ottobre 2009

Il vestito di Eva

Per sedurre bisogna vestirsi.
Eh si, avete capito bene.
Vestirsi.
La nudità non deve essere un regalo.
Un dono esposto.
Ma una conquista.
E' noto che le sinapsi di un uomo biologicamente vanno in tilt davanti ad un nudo sia pur solo raffigurato, immaginiamoci nell'esposizione del reale.
L'eccitazione è subitanea.
Incontinente. Vorace.
Su un immaginario grafico del gradimento, una linea perentoria, svettante verso l'alto.
Che, ovviamente, ci lusinga.
Ma, una volta toccato lo zenit la linea, inevitabilmente, ricade verso il basso.
Mantenere costante quella linea.
Il più a lungo possibile puntata verso l'alto.
E' questo l'obiettivo.
Chiaramente il vestirsi, in questo contesto, non è riferito ad un abbigliamento diurno o da serata speciale. Ma è lo squame di sirena che ci ricoprirà per ammaliare.
Il vestito è importante.
Il vestito stabilisce il gioco.
La nostra irriverenza farà il resto.
Attenzione solo a non eccedere.
Nè a tentennare.
Ad avere ben organizzata la dinamica del gioco. Sarete voi a dirigere.
Ma fatelo con accortezza. E diplomazia.
Non impartite ordini. Nè suggerite percorsi.
Date sempre l'impressione che sia lui a condurre. Lasciandogli anche un buon margine di libertà interpretativa.
Ma i tempi, quelli, dovrete essere voi a stabilirli.

Se apriamo l'ipotetico armadio di una seduttrice troviamo un arsenale stupefacente, accumulato nel corso dei secoli dalle altre che l'hanno preceduta.
Una santa barbara di marchingegni femminili.
Preziosità e bizzarie.
Leziosità e barocchismi.
Astruserie. Invenzioni.
Profumi stordenti.
Scaglie fosforescenti di sirena.
Corsetti peccaminosi.
Ambigui chador.
Pizzi lussuriosi.
Ventagli ipnotici.
Subdole crinoline.
Guanti di raso. Di velluto. Di merletto.
Chilometri di collane.
Scarpe dai tacchi vertiginosi.
Ingannevoli calze da ballerina.
E tanto altro ancora.
Di vetusto. E d'innovativo
Dal vestito di Eva a quello androgino delle moderne cybernaute.
Perchè il mondo, nonostante si declini al maschile, è inequivocabilmente donna.
Ma un suggerimento, fuori dagli standard, lo avrei.
Per le seduttrici davvero geniali
Disinvolte. Irriverenti.
Specialissime.
Targhet molto alto, quindi.

Dall'armadio dei cimeli tirate fuori la camicia da notte di batista della trisavola.
Quella con l'asola centrale.
L'indumento che le spose più pudiche usavano la prima notte di nozze.
Per superare il trauma dell'amplesso si praticava nella parte centrale della camicia notturna un'asola strategica, che permetteva al marito di adempiere al suo dovere coniugale ed evitare alla casta sposa la vergogna di mostrare, nudo, il proprio ventre.
Quell'apertura, quindi, favoriva l'accesso alla remota vergine oscurità per infrangerla, senza esibirla.
Uno stratagemma perverso.
Diremmo noi, "Barbarelle" super emancipate. E futuriste.
Funzionale, però, per la morale dell'epoca.
Rispolveriamo, allora, il diabolico camicione.
Anche se lui, sicuramente, non lo vorrà.
Ne riderà. O s'arrabbierà.
Sta a voi invogliarlo al gioco.
Le più esperte sanno come imporsi con mormorii e sospiri.
E macchiavelliche promesse.
E, credetemi, agli uomini pur piace non avere sempre tutto a portata di mano.
Ed il non vedere, eccita alla fine, ancor di più del guardare.
Vi cercherà attraverrso il tessuto.
Intuirà, con dita sensitive, ogni centimetro del vostro meraviglioso essere.
Il tatto è un senso straordinario.
Meravigliosamente erotico.
E se voi saprete muovervi, con grazia e malizia, lo coinvolgerete fino al delirio.
Non è, però, un gioco silenzioso questo.
Ma di bisbiglii impudici, compensativi all'austera scenografia.
E' il gioco dei sessi.
Voi vi negate. Nel contempo eccitandolo.
Promesse sfacciate.
Provcazioni.
Pienamente coinvolto nel gioco, si lascerà irretire dalle lascive teorie di una vergine.
La negazione esaspera il desiderio.
E l'asola tattica, lo spioncino, è una ipotesi che lui prima o poi vorrà prendere in considerazione.
Ma solo quando voi stabilirete di aver portato il partner ai vertici massimi del parossismo, allora, solo allora, sguscerete fuori dall'informe camicione.
Nuda sirena.



domenica 18 ottobre 2009

A mia madre

I ricordi, a volte, fanno male come ferite mai rimarginate che urlano nella nostra carne appena il sole s'adombra, e cambia il tempo.

A mia madre.
Dedico questo blog a mia madre, meravigliosa farfalla dalle ali scure e dal cuore buio, totalmente priva del senso del volo e dell'orientamento e, per questo, paurosa del cielo aperto.
Nevrotica. Elusiva.
Inafferrabile.
Marilena

venerdì 16 ottobre 2009

Autunno

Stamani mi muovo all'interno di una fotografia color seppia.
Volutamente indosso un abito leggero.
Voglio che il freddo mi penetri.
Voglio che il freddo m'invada.
Per sentire preponderante lo stato di necessità fisica del mio corpo.
E niente altro.
Il freddo ha la stupefacente capacità, su di me, di annullare qualsiasi altra sensazione.
Mi riduce allo stato di animale bisognoso solo di un rifugio riparato.
Un incavo caldo.
Un bacino, di foglie e di paglia, nel quale rannicchiarmi come tra le braccia di un amante.
Nell'aspro odore di tana, che sempre emana il corpo maschile.
Addormentarmi.
Con l'umido della sua lingua che mi netta le labbra dall'ultima goccia di sidro.
Mentre fuori l'autunno scatena i suoi elementi drastici.
Marilena



mercoledì 14 ottobre 2009

Maria Maddalena

...ed arrivò il giorno in cui Maria Maddalena raccolse i lunghi capelli in uno chignon e nascose gli occhi, arrossati dalle lacrime, dietro impenetrabili occhiali scuri.
Mai più avrebbe pianto per un uomo.
Gesù, consumato dall'agonia, era appena spirato.
Cioè, così aveva fatto credere.
In realtà di li a poco sarebbe risorto.
E la storia si sarebbe ripetuta.
Un estenuante dejà vu.
Quando avrebbe di nuovo riaperto gli occhi, per dar vita al ripetersi degli eventi, lei sarebbe stata già molto lontana.
A lui aveva dato non una, ma tutte le sue possibili vite.
Ed ogni volta l'epilogo era sempre lo stesso.
Dolore. Morte. Strazio. Lacrime.
Basta. Basta.
Che incasinasse un'altra, stavolta.
Accorciò, con uno strappo deciso, la veste.
Le ginocchia erano arrossate. E graffiate.
Per il troppo tempo passato sull'inginocchiatoio.
E, per quelle ultime ore, prostrata ai piedi della croce.
Le riusciva sempre più difficile capire quell'uomo ostinato.
Orgoglioso.
Irriducibile.

Avevo ragione io.
Ma, come sempre, non hai voluto ascoltare.
E guarda cos'è accaduto.
Ma stavolta, quando riaprirai gli occhi, io non ci sarò.
I tuoi miracoli non m'incantano più.
Sono diventata atea.
Marilena

domenica 11 ottobre 2009

L'apostolo

Viveva ormai solo del mio respiro.
Mi attendeva per ore, tormentandosi nell'incertezza, irrequieto come un cane alla catena che aspetta l'arrivo del padrone, solo per avere da lui una carezza distratta.
O una pedata cattiva.
Completamente travolto dai sensi e sfiancato dalla difficile attesa, accettava qualsiasi cosa odorasse della mia presenza.
Rinnegava la natura del lupo per sottostare all'umiliazione del mio piede sulla sua schiena.
Rifiutando l'affrancamento dal collare, implorava che io non abdicassi al mio diritto di possesso.
Senza la mia mano a tirare il guinzaglio lui non aveva più alcun senso.
Legato mani e piedi si consegnava, smarrito e disperato, alla mia indifferenza.
Reclamandola come un dono.
Ma, quelle emozioni che io avevo scoperto all'inizio della mia storia con lui, erano ormai troppo note ed usurate.
Non urgevano più nel mio ventre e nella mia testa.
Scene già provate di un copione difficilmente riscrivibile, dopo che l'attore e l'uomo si erano indissolubilmente fusi in una unica identità.
All'inizio, quando ancora non era stato toccato dalla dipendenza dell'amore, era un sublime apostolo alla ricerca del piacere.
Ed io lo assecondavo.
Mi nutrivo dei suoi tremiti e dei suoi battiti.
Le sue braccia erano le ali di una gigantesca farfalla priva di mani.
Mi eccitavo della sua eccitazione cieca.
Quel suo brancolare alla ricerca del mio odore ed il farfugliamento, ossessivo ed impotente, col quale m' implorava nel delirio di una febbre che rifiutava la cura.
Incrudelivo il gioco.
Decidevo i tempi ed i ritmi.
Mi nutrivo delle sue emozioni.
Lo portavo al limite.
Lo lasciavo in attesa.
Lo provocavo.
Lo eccitavo.
Lo prendevo di nuovo.
Lo illudevo.
Lo stordivo.
Lo respingevo.
E l'apostolo muoveva le labbra mute.
Mai del tutto appagato.
Sempre in attesa.
Esausto.
Sfinito dal gioco.
E dagli abusi del gioco.

giovedì 8 ottobre 2009

Hijab.

Stamani gira male.
Un cupo spleen autunnale.
Ho coperto tutti gli specchi di casa.
E lasciato le stanze in penombra.
Non ho voglia di ritrovare la mia immagine.
Sbalzi d'umore. Paranoie.
Una fame insaziabile.
Divoro con avidità tutto ciò che di commestibile mi capita tra le mani.
La mia gola è solo un tubo peneumatico.
Non sento i sapori.
E non è fame di stomaco.
Questo buco incolmabile, che si spalanca dentro, ha sintomi noti.
Inconfondibili
E' la tenia cieca che si sta risvegliando.
E si sta nutrendo del mio cibo.
E delle mie energie.
Inizio a tagliarmi la frangia.
Maniacalità.
Nei miei eccessi di parossismo nervoso tormento i miei capelli.
Inquadro, nel piccolo specchio adattabile alla finestra, la vertigine sul lato sinistro della fronte. Che toglie compattezza alla tendina scura dei miei capelli.
La mia frangia. Il mio hijab.
Che mi nasconde allo sguardo del mondo.
E la luce esterna del giorno è cruda.
Ostile.
Intollerabile.
Ma solo dopo aver compiuto lo scempio sui miei capelli, forse, mi riuscirà di piangere.
Marilena

martedì 6 ottobre 2009

Nel gioco delle mie dita

Non ho mai avuto talento per il disegno e la pittura. Non ho la pazienza nè la manualità necessarie per creare. Adoro però i tubetti dei colori. Il loro odore. Mi piace sentire l'unto del grasso sulla punta delle dita e, ad occhi chiusi, sul foglio lasciarle scorrere senza alcuna cognizione. Né di forma. Né di prospettiva. Macchie dense o liquide. Striature impreviste. Improbabili geometrie inghiottite dal caos. Niente di stabilito. Colori puri. Primitivi. Un arcobaleno primordiale che cancella il bianco dello sfondo. Ed il nero dei contorni. Niente bordi. E nessuno spazio che li racchiuda.

Scappuccio tutti i miei rossetti.
E le matite per gli occhi.
E per le labbra.
Apro le scatoline degli ombretti.
E quelle dei fard.
Attingo, con dita cieche, dalle boccettine rovesciate degli smalti.
E traccio ruvidi segni con il pennello del mascara.
Strappi duri. Come unghiate.
Con gli occhi bendati percorro la superficie del foglio.
Ne tasto le sottilissime nervature.
Le minute porosità.
Ne accarezzo estasiata la superficie.
Una epidermide viva
Nel gioco delle mie dita.
Marilena

domenica 4 ottobre 2009

Un travolgente piacere

Scrivere, per me, è come stendere lo smalto sulle unghie.
 Un lavoro di minuzia.
Sugli ovali, debitamente puliti e limati, passo minutissime pennelate di colore.
Non troppo liquide. Per evitare inopportuni ritocchi.
Nè troppo dense. Per scongiurare sedimenti grumosi.
La laccatura, per avere una buona estetica, deve risultare netta.
Ben circoscritta nell'area non deve, per eccesso, assolutamente permeare la cuticola.
Un lavoro di pazienza. E abnegazione.
La tavolozza dei mie smalti contempla solo due colori: il rosso ed il nero.
Abolite le anonime tinte pastello.
La volgarità dei glitter.
L'eccentricità del tatuaggio.
E la menzogna del posticcio.
Le unghie devono essere vive.
Per afferrare. Respingere. Graffiare.
Scrivere.
E' dunque, con le mie unghie vive, laccate di rosso o di nero, che scrivo i miei post.
E, l'impronta della mezzaluna ungueale, con la quale alla fine li siglo, è il monogranna identificativo della loro appartenenza.
La mia firma d'autrice.
Questo reclamo per i miei scritti.
Una impronta. Ed un odore.
Il mio odore.
Permeante. Ed inconfondibile.
Come quando si è fatto del buon sesso.
E le dita, la bocca, le narici, i capelli, l'epidermide tutta è intrisa dell'insidiosa fragranza di quel travolgente piacere.
Marilena