Dedico questo blog a mia madre, meravigliosa farfalla dalle ali scure e dal cuore buio, totalmente priva del senso del volo e dell'orientamento e, per questo, paurosa del cielo aperto. Nevrotica. Elusiva. Inafferrabile.

mercoledì 29 luglio 2009

Farfalla

Succede a volte che una farfalla, invece di trovare la strada per il cielo, trova una mano che la cattura per crocefiggerla all'interno di una cornice.
Conficcandole uno spillo nel cuore.
Nell'antro delle farfalle è lei la più bella ma morirà, come tutte le altre, intravedendo solo un riflesso di cielo sul vetro della sua teca

Anteprima

sabato 25 luglio 2009

Il pasto nudo dell'orchessa


(Pubblicato nell'antologia "Di incontri e di racconti" da "Writer Monkey" Dicembre 2017)


Immaginate la voce melodiosa di un usignolo ingabbiata in una grancassa. Questa era Fernanda Castillia.
Una gigantessa di origine creola, dal naso imperiale, i seni impetuosi e gli occhi di pantera.
Puttana di mestiere. Soprano di vocazione
Osannata, nell'eclettico e caotico microcosmo di Baia di Ysmael, come la regina delle prostitute.
Regina, ma con animo democratico.
Banchieri e notabili pagavano profumatamente il suo assolo orgasmico che faceva fremere la terraferma e sommuovere gli oceani.
Marinai e filibustieri, invece, ne usufruivano gratis, in virtù della sfrontatezza dei loro muscoli e della fantasia sfrenata dei loro tatuaggi.
Fernanda Castillia, con la stessa democrazia e col medesimo entusiasmo, si concedeva a queste due categorie di uomini.
Sdegnosamente ignorando tutte le altre.
Era lei a svezzare dalla timidezza sessuale gli adolescenti di Baia di Ysmael.
Entravano nel suo letto con bocche affamate di cuccioli orfani.
E ne uscivano con appetito insaziabile di uomini fatti.
La gigantessa, consapevolmente, offriva loro la lussuria peccaminosa di un incesto materno.
Marchiandoli.
Dannandoli, per il resto della vita, a cercare quello stigma in tutte le donne.
E quell'assolo orgasmico. Impudico. Celebrativo.
Una nenia vaginale che intensificava in un crescendo impetuoso di bolero.
L'affermazione sessuale, perentoria e conclusiva, dell'ape regina che dentro di sé ha infine intrappolato l'organo genitale del fuco.
Mutilandolo.
Il pasto nudo dell'orchessa.
Era questa la seduzione di Fernanda Castillia.
Una provocazione sessuale.
Una sfida eccessiva.
Contro ogni morale.
Alla fine era sempre lei, la regina, a vincere.
Fino al giorno in cui i suoi occhi giallo zafferano incrociarono quelli azzurrissimi di Ignacio Amaral.
Portoghese di nascita. Liutaio di professione.
Sposato e padre di una nidiata di figli. L'ultimo dei quali ancora in grembo alla moglie.
Ignacio Amaral, uno scricciolo d'uomo, dalla pelle notturna e le labbra tumide.
E dallo sguardo siderale.
Sguardo che subito distolse dall'occhiata impertinente che Fernanda gli aveva lanciato.
Per la notorietà equivoca di lei.
Che in tutta Baia di Ysmael era risaputa.
Un uomo dabbene, Ignacio Amaral.
Uno di quelli delle categorie intermedie che Fernanda mai avrebbe preso in considerazione.
Uno di quelli a cui il suo assolo celebrativo mai sarebbe stato concesso.
Nei giorni che seguirono, invece, Fernanda sempre più spesso si ritrovò a pensare a lui.
A quella comunicazione di sguardi.
Alla collisione dei loro mondi.
Così si era decisa a rompere gli indugi e, riesumata la carcassa centenaria di un remoto violino, cimelio da soffitta, si era recata alla bottega di Ignacio Amaral e con piglio deciso gli aveva chiesto
- Potete ripararlo? -
Ignacio aveva abbracciato in un unico sguardo la carcassa legnosa e la mano enorme che gliela porgeva. E, alzando lo sguardo, si era trovato davanti gli occhi di foresta di Fernanda.
- Credete forse nei miracoli? - rispose lui, con tono divertito
- No, ma credo in voi - fu la replica coincisa.
Che non contemplava alcun rifiuto.
- Tornerò a verificare il lavoro. Prendete tutto il tempo che occorre. Non ho fretta -
Disse lasciandogli il violino tra le mani.
Ed una traccia sinuosa di cacao amaro, che fece fremere le narici del mastro liutaio.
E tornò Fernanda, ottemperando alla promessa fatta.
A constatare la progressiva resurrezione del suo violino.
Preannunciata dall'aroma amaro di cacao, la sua sagoma ingombrante si materializzava sulla soglia del laboratorio del liutaio.
E, per un momento, il pomeriggio tramutava in crepuscolo.
Una polvere bruna di cacao oscurava il sole.
E ne emergeva la gigantessa, fasciata in corpetti color malva o melanzana, che a stento contenevano l'esuberanza espansiva dei seni.
E sulla porta c'era lei, Fernanda, che lo salutava con la voce melodiosa di usignolo ingabbiato in una grancassa. Soffocando ad ogni visita, e sempre più a stento, l'assolo celebrativo che premeva per erompere.
Ed Ignacio Amaral le sorrideva dalla profondità scura del retrobottega.
E le veniva incontro, offrendole la comodità di una seggiola e la freschezza lattiginosa di uno sciroppo d'orzata. Debitamente aromatizzato di cannella e fortificato con vaniglia.
L'assolo celebrativo veniva così gentilmente ricacciato in gola dalla dolcezza dell'orzata.
- Festeggiamo oggi, donna Fernanda, la nascita di un'amicizia. E di una stima personale. Le persone non sempre sono quel che sembrano. E voi, ecco si, voi siete una regina - Questo il complimento, sincero e commosso di Ignacio, nel gesto di chinarsi a baciarle la mano.
Una mano enorme.
Che facilmente avrebbe potuto sopraffarlo.
Tanto squilibrate erano le loro proporzioni fisiche.
E fu allora che Fernanda valutò che la sua pazienza era giunta al termine.
Lei era quello che era e non quello che lui immaginava.
O quello che lei si era ingegnata a fargli credere.
In nome dell'amore si stava giocando fama e reputazione.
Bisognava ristabilire la verità.
E su queste emozioni che le ali dell'usignolo presero a librare con frenesia selvaggia, all'interno della grancassa.
In uno spazio improvvisamente esiguo.
Dove l'assolo urgeva di uscire con l'intensità di un crescendo da bolero.
L'ape regina doveva portare a termine la missione per cui era stata concepita.
Col suo piede da soldato Fernanda chiuse la porta e l'oscurità, di colpo, permeò la bottega.
Sorpreso dal buio e da quella reazione imprevista, Ignacio si trovò ad indietreggiare nel fondo, incapace di formulare ipotesi istantanee.
Attonito per quel gesto repentino.
Non ancora del tutto consapevole della minaccia aggressiva.
Lui indietreggiava mentre lei lo fronteggiava avanzando.
Un drammatico paso doble, in un'arena circoscritta e deserta.
E nessuna possibilità di fuga.
Il destino del toro nell'arena è già tracciato.
Così come quello del fuco nella sacca spermatica della regina.


martedì 21 luglio 2009

Ghost

Dietro la porta chiusa lui sfiorava i suoi oggetti, cercando ancora il suo odore nella bottiglina semivuota del profumo. Apriva l'armadio, accarezzava i suoi vestiti per riuscire a captare un remoto residuo del suo corpo: il bagliore luminoso della pelle, il ventaglio nerissimo delle ciglia, le unghie, tonde e pallide, sulle dita affusolate.
Inutilmente invocava il suo fantasma.
Lei, ostinata, gli si negava.

mercoledì 15 luglio 2009

Camilla (Cam o Camille)

Ascolta Mari...(pausa elucubrativa)
L'esordio di Camilla (Cam o Camille) mi predispone ad uno stato di massima allerta.
Ascolta Mari...(pausa elucubrativa)
Sono consapevole che non ne vrrrà fuori nulla di buono.
Camilla (Cam o Camille) ed io siamo davvero troppo simili.
Entrambe prevediamo con anticipo, e senza alcun margine di errore, i passi dell'altra.
Le strategie di attacco.
Le tecniche di difesa.
Così, le catastrofiche conseguenze che questo inizio di conversazione già reca, io ben le immagino.
Ascolta Mari...(pausa elucubrativa)
Ed io so che sulla mia testa cadrà un affastellamento, caotico e perentorio, d'ipotesi assurte a certezze incontrovertibili.
E che solo apparentemente accoglieranno il contraddittorio.
Io e Camilla (Cam o Camille).
Manipolatrici di concetti.
Sofiste dell'assurdo.
Teoretiche disinibite.
Parolaie.
La geometria diviene uno spazio cognitivo per stregonerie meccaniche e astruserie geografiche.
E la logica matematica è disinvolto empirismo atto a rielaborare teoremi e assiomi.
Pur se il massimo dell'enfasi è riservato alla topologia, branca congeniale ed entrambe, per le inusitate possibilità esplorative che contempla.
Così come pure tutte le altre scienze, dalle metafisiche alle antropologiche, sono sottoposte al vaglio del nostro giudizio.
Per un ammodernamento.
Una rilettura più congeniale alla nostra epoca.
Se Amaranta è la mia alter ego, Camilla (Cam o Camille) è la mia doppelganger, spogliata però del significato più drastico del termine, perché nulla di maligno alberga in lei.
Se non una leggera isteria congenita.
Coltivata con arte.
Assurta a nota identificativa.
E personalissima.
Un copyright.
La rabbia spacciata per passione.
E' questo il capolavoro seduttivo di Camilla (Cam o Camille)
Doppelganger, irrequieta ed istigatrice.
Mutaforma. Paradosso temporale.
Creatura alchemica.
Camilla (Cam o Camille) è stata avvistata recentemente, con i capelli sciolti e gli occhi lucenti, in un abito da bambina, mentre correva a perdifiato dietro un aquilone, in una mattinata tempestosa di vento e di nubi, su una spiaggia di Salerno.
Ma, in quello stesso momento, Camilla (Cam o Camille) era qui a Roma, nella sua reale età anagrafica, animatamente a dibattere di falene e di farfalle.

venerdì 10 luglio 2009

Sull'amore. Sulla diversità. Sull'accettazione.

Un poeta s'innamorò perdutamente di una eterea damina dallo sguardo malinconico.
Alla quale dedicava poesie.
Ardenti ed esistenziali.
In cui decantava il suo amore, immenso ed appassionato. Per lei, splendida creatura.
La più bella fra le donne. Unica. Incomparabile.
Le scriveva lunghe lettere in cui lei era angelo, sirena e dea. Incantatrice.
- Ma quello che davvero trovo sublime è il vostro sguardo. Rivolto verso l'interno. Che fa di voi una creatura irraggiungibile. Enigmatica. -
Questo scriveva il poeta alla eterea damina dallo sguardo incorruttibile.
Ed il suo amore cresceva a dismisura, quanto più lei sembrava inaccessibile.
Tenace. Irruento. Ardimentoso.
Che non lasciò insensibile la giovane signora.
E così le missive divennero lunghe conversazioni. Nel salottino di lei.
Dove nessun argomento veniva trascurato.
Ed il poeta piacevolmente potè constatare che, oltre alla bellezza, la damina possedeva anche l'acume dell'intelligenza. E della profondità.
In tutta questa armonia di affinità persisteva, come unica nota stonata, la malinconia perenne dello sguardo di lei.
- Che mi esclude. E mi prospetta un mondo misterioso. Di cui io non ne faccio parte alla stessa stregua di coloro che non hanno il privilegio di condividere alcunchè con voi -
Lamentava il poeta, con toccante mestizia.
- Qual è la ragione della vostra malinconia? Ditemelo affinchè io possa, con la forza del mio amore, diradare la tristezza che offusca lo splendore dei vostri occhi. -
La damina rimase in silenzio.
Un lungo, infinito silenzio.
Poi tirò su la veste e là, dove avrebbero dovuto esserci le gambe, spuntarono due irreali, grottesche code di pesce.
Il poeta ammutolì.
Ritraendosi d'istinto. Inorridito.
- Ditemi, quale miracolo può fare il vostro amore per modificare questo scherzo della natura? -
Chiese la damina in tono pacato. Riassestandosi dignitosamente la veste.
- Quella che ci fa credere che voi non abbiate gambe, ma code di pesce, è solo una stregoneria. Un'allucinazione.Voi siete perfetta. Alzatevi vi prego. Un passo verso di me. Se vacillate io vi sosterrò. Un solo passo, in nome dell'amore. Non abbiate paura. Non deludetemi -
E la damina coraggiosamente, per non amareggiare quell'amore così esaltato e fervente che ostinatamente negava la realtà di una deformità grottesca, ed affatto illusoria, provò a cimentarsi in qualcosa che mai prima aveva sperimentato: la posizione eretta.
Per un attimo fu in tutta la sua altezza.
Instabile.Vacillando. Annaspando.
Marionetta scoordinata. Disarmonica.
Terrorizzata.
Mentre rovinosamente cadeva in terra, fracassandosi il capo.

giovedì 9 luglio 2009

Un corpo aquietato

Le frenetiche, e per altro inconcludenti attività di superficie, mi hanno forzatamente tenuta lontana dal mio antro.
Ma più mi addentro agli schemi del reale, più forte ne sento il richiamo.
Ed il rimpianto di essere stata, per un breve momento, ciò che forse non potrò più essere.
Se l'antro sbiadisce, però, nemmeno la superficie acquista maggior vividezza.
Una personalità incompiuta.
Ed angosciatamente consapevole.
E' questo il risultato finale.
A cosa è servito tutto questo caos esistenziale?
Gli stati di esaltazione delle scoperte interiori si sono esauriti. Ormai da tempo.
E gli entusiasmi, pure.
Un invecchiamento precoce.
Ho ingurgitato di tutto in questi ultimi tre anni. Voracemente.
Da vero animale onnivoro.
Senza mai riuscire, però, davvero a saziarmi.
Stordita la fame convulsa.
Ingannata con cucchiaiate colme di cibo.
Lungamente ruminato.
E di nuovo rimasticato.
Con la pazienza di un grosso mammifero.
Appesantita dal lento processo digestivo.
Cedo volentieri al sonno.
Ed alla consapevolezza di essere, nello stato d'incoscienza passiva, quello che al mondo appaio.
Un corpo aquietato.
Marilena

martedì 7 luglio 2009

I bevitori di birra







Guardati intorno
Contempla il firmamento.
Gas luminoso di una scorreggia eterea.
Invasiva.
Che ha prodotto le stelle.
I bevitori di birra lo sanno.
I bevitori di birra sono dentro l'infinito.
Ispirati dalla schiuma delle loro pinte.
Inventano storie.
E ti spiegano la loro cosmologia.
I bevitori di birra sono angeli scaraventati nel fondo di una botte.
Sono quelli che farfugliano, con voci innocenti, ehy wow  yeah.
E ti conquistano col sorriso delle loro pance gonfie.
 E dei loro denti guasti.

domenica 5 luglio 2009

Laurea Ad Honorem

Mi è stato rimproverato di essere una snob. Di avere, cioè, la "puzza sotto il naso". Ora, tra i cinque sensi, l'olfatto è quello che in me più difetta. Ho davvero una scarsissima sensibilità olfattiva. A stento e precariamente, recepisco gli odori. E se questo mi mette al riparo dalle puzze del mondo m'inibisce, comunque, la volluttà dei profumi.
Una vita senza odori. Asettica.
Quindi, da questo punto di vista posso ampiamente, e con ragione, rigettare questa affermazione.
Olfattivamente non ho la puzza sotto il naso.
Olfattivamente non sono una snob.
Lavoro in una ditta di pulizie. Ed ecco, voi direte, sei fortunata. A differenza dei tuoi colleghi, più sensibili agli effluvi del mondo, non sei costretta a tapparti continuamente il naso. Anche se, vi assicuro, certi sgradevolissimi odori riescono, talvolta, a penetrare la mia pur blindatissima barriera sensoriale. Sono quindi quotidianamente a contatto con rifiuti, scarti, immondizie. Costretta a manipolare e rovistare nel peggio della produzione umana. Variegata e originalissima. Sorprendente, sotto certi aspetti. Per sopravvivere in questo settore bisogna sviluppare un forte senso dell'ironia.
Poco senso olfattivo e molto senso ironico.
Sono davvero fortunata, perchè li posseggo entrambi.
Lavorativamente, quindi, posso rigettare l'accusa di essere una snob dal momento che il mio è un impiego davvero umilissimo.
Lavorativamente sono costretta a sorbirmi le puzze degli altri.
Ho la terza media. Non ho nessuna laurea da esibire. E nessuna spocchia dottorale da sfoggiare. Anche se, vi assicuro, spesso ho voglia d'insultare qualche emerito dirigente, (dottore, per l'appunto) pluripagato e pluriprivilegiato, che non sa scrivere una frase corretta in italiano e che quando parla sbaglia tutti i congiuntivi.
Eccola la snob! Esclamerete voi.
Autodidatta. E snob.
Connubbio devastante.
Evvabè, ma se il pluripagato e pluriprivilegiato boss della scrivania guadagnasse il mio stesso stipendio e appartenesse alla mia stessa categoria, non ci farei caso. Ma, chi prende in un mese quello che io a stento guadagno in un anno, ha almeno l'obbligo morale di ripassarsi ogni tanto la grammatica!
Eccheccazzo!!!!!!
Ed ecco la mia anima snob uscire allo scoperto. (Le parolacce o un accenno di slang, proletario e contenuto, sempre denotano una personalità snob!)
Touche!
Intellettualmente sono una snob.
Intellettualmente ho la puzza sotto il naso.
Intellettualmente credo di aver diritto ad una Laurea Ad Honorem
Marilena

sabato 4 luglio 2009

Unica virgola

E' solo una foto. Una brutta foto, per di più.
Scattata con la web cam.
Un eccesso di luce sulla parte destra del viso.
L'immagine è sgranata. Soffusa.
E' questo che mi piace.
La sua imperfezione.
Che la rende personale.
Una brutta foto.
E la sfrontatezza dell'esposizione.
Unica virgola in un capitolo lunghissimo di parole ininterrotte.
Sono io quella virgola.
Scelta ponderata.
Non imposta. Né dovuta.
Ho assecondato un impulso.
No, a dir la verità, è stata anche una prova di determinazione.
Prima di pubblicarla l'ho mostrata per avere pareri.
Perchè sono un' insicura.
Ed il benestare degli altri mi avrebbe incoraggiato.
Non l'ho avuto.
Per motivi scontati. Ed ovvi.
Insinuanti, persino.
La domanda inevitabile è stata: perchè l'esigenza di mettere una foto?
E' questo il punto, quindi.
Al di là dei giudizi critici sull'estetica e sulla tecnica.
Le motivazioni personali che, comunque, anche se date non avrebbero intaccato il giudizio già formulato.
Un punto di domanda, quindi, che non contemplava una risposta.
Se non quella già implicita, e sottointesa, nella domanda stessa.
Apparentemente innocente.
Sollecitava interrogativi esistenziali.
La spiegazione della virgola non sarebbe stata accettata.
E quel non sei obbligata a mettere una tua foto, mi ha ulteriormente spazientito.
Non un obbligo.
Ma una esigenza.
Così ho lavorato, nonostante i pareri negativi, su quell' imperfettissima immagine, come di solito faccio con i miei post.
Ho modificato il formato originario.
Ingrandito.
Sgranato.
Per dissolvere la compattezza evidente della carne.
Alleggerire dal peso corporeo.
Ricondurre l'immagine alla originaria funzione preposta.
Quella di una virgola.
Segno d'interpunzione.
Pausa transitoria.
Brevissimo intervallo di voce.
Marilena