Dedico questo blog a mia madre, meravigliosa farfalla dalle ali scure e dal cuore buio, totalmente priva del senso del volo e dell'orientamento e, per questo, paurosa del cielo aperto. Nevrotica. Elusiva. Inafferrabile.

martedì 30 dicembre 2008

Connessione fallita

Connessione fallita: è la scritta rossa che lampeggia costantemente nella mia vita.
Sono infallibile, invece, nello scegliere le persone, le situazioni, i momenti, sempre inesorabilmente sbagliati.
Sono malfidata per le troppe fregature prese, anche se l'essere costantemente all'erta non mi ha preservato dal continuare a prenderle. E questo rompermi l'osso del collo, in stato vigile e in assetto di guerra, ha fatto si che le mie inevitabili incazzature durassero molto più del dovuto e fossero molto più pesanti da digerire.
Da un po', comunque, ho dismesso l'uso della corazza integrale, e non perché abbia acquistato fiducia nel mondo o sia diventata un tantino più ottimista...naaaaaa, ma per la semplice esperienza sul campo che mi ha insegnato che è inutile proteggere le zone a rischio di frattura perché basta un piede allungato per farti cadere con la faccia nella polvere.
Appartengo a quella categoria di persone che se deve scegliere tra due opzioni di sicuro opterà per la più complicata o la più improbabile. Comunque sbagliata.
Senza parlare del mio senso dell'orientamento che è zero assoluto: senza l'ausilio dell'alzheimer, riesco a perdermi nel perimetro della mia casa.
E, oltretutto, sono anche una pessima fisionomista.
Mi salvano i miei occhiali da sole che indosso anche in giornate di fitta nebbia o di pioggia intensa, così posso spudoratamente dar la colpa alle lenti scure se non riconosco qualcuno che, invece, dovrei conoscere.
E quasi mai ricordo i nomi.
In questi casi mi attengo sempre sul vago, sull'ovvio. Ho una parlantina piuttosto sciolta (sono un'appassionata cultrice dell'arte oratoria) e la conoscenza di un vasto repertorio di frasi convenzionali, adattabili ad ogni situazione e, nonostante sia piuttosto timida, riesco a propinarle con discreta naturalezza, anche se dopo passo tutto il tempo a rompermi la testa per ricordarmi almeno il nome del tizio.

Connessione fallita: per il mio rapporto conflittuale con gli oggetti e la tecnologia in particolare.
Sono maldestra con tutto quello che richiede una qualsiasi manualità, dallo svitamento dei tappi di sicurezza delle medicine a quelli dei detersivi (ho una piccola collezione di flaconi orrendamente decapitati o rozzamente forati nelle segrete del mio sotto lavello), senza trascurare tutti gli altri arnesi di uso comune quali apriscatole, apribottiglie, frullatori, spremiagrumi elettrici, ferri da stiro, phon ed affini. Ho ingaggiato memorabili ed estenuanti match all'ultimo round con vari tipi di elettrodomestici, di vecchia e nuova generazione. Ho un rapporto paritario solo col cellulare quando alla fine ne capisco il meccanismo, e per questo lo cambio solo quando ormai, malandato e terminale, implora l'eutanasia. Molto controverso, invece, è quello instaurato col computer (adoro il pc ma parliamo linguaggi HTML diversi).
Non cambio più le lampadine da quando, tempo fa, ho mandato in tilt, in una banalissima operazione di avvitamento, l'impianto elettrico di casa. Così come sto lontana dal timer della caldaia (ho dormito in pieno inverno con le finestre spalancate!)
Purtroppo sono tenace, non mi arrendo facilmente e desisto solo quando ormai ho deformato o reso inservibile l'utensile.
("Tu sembri una persona normale ma in realtà sei l'angelo della morte". Così mi ha detto una volta un amico citando una battuta del film "Harry ti presento Sally")

Connessione fallita: per la mia totale incapacità a guidare qualsiasi altra cosa che non siano i miei piedi.
Riesco, ad esempio, con la macchina a zig-zagare ma non ad andare dritta.
Zig-zago in modo spettacolare, ma non riesco a guidare in maniera convenzionale: per questo non guido. Il codice della strada non contempla l'andatura a zig-zag, ma immagino che neppure gli altri automobilisti sarebbero felici d'incontrarmi sulla loro strada, soprattutto nell'eventualità di un incolonnamento. Così, dopo tenaci ma falliti tentativi (crisi di pianto da parte mia e crisi isteriche da parte di chi, coraggiosamente, era salito sulla mia auto), ho gettato la spugna. E' questa, però, una rinuncia che ancora oggi brucia, ed invidio ed ammiro perfino l'automobilista più insufficiente, quello che fa grattare le marce e prende le curve troppo larghe o troppo strette, ma che comunque riesce ad andare dritto.
Ad ogni buon conto non va meglio nemmeno con la bici o con il motorino. La moto, poi, non la prendo nemmeno in considerazione.
Devo essere nata sprovvista del baricentro o di qualsiasi altra cosa serva a dare un equilibrio: su un mezzo a due ruote pencolo a destra o a sinistra con molte probabilità di capottarmi da ferma.
Marilena

domenica 28 dicembre 2008

Per favore, fammi entrare

Per favore, fammi entrare.
Invocava la sconosciuta da dietro la porta.
Ho aperto e lei è entrata.
Perchè l'ho fatto?
Non potevo uscire dalla stanza perché quella porta prima non c'era (o almeno io non l'avevo notata), fin quando lei ha chiesto di entrare, ed ecco che, con stupore, ne scoprivo l'esistenza.
Ovvio che se avessi aperto per uscire avrei permesso a lei d'entrare, ma quello era l'unico modo per fuggire dal mio incubo.
Il mio benvenuto più caloroso a chiunque fosse venuto a prendere il mio posto.

E' entrata, e la porta si è richiusa.
Sentivo la sua presenza ma avvolta dal buio non riuscivo a vederla. Nessun contorno da mettere a fuoco, solo lievi spostamenti d'aria secondo che lei muovesse una mano o si toccasse i capelli.
Come in un sogno, la stanza, diventata oblunga, aveva ora pareti altissime e un sottile spiraglio dove prima c'era la porta.
Allungavo le mani come una cieca, tastando il buio, cercando tracce della sua presenza.
Ma la stanza era assolutamente vuota.
Per favore, fammi entrare.
Implorava ancora dall'esterno dello spiraglio.
Ed io, allora, tentavo di allargare l'esile fessura con la disperazione delle mani.
Pareti invalicabili e sempre meno spazio per muovermi.
Per favore, fammi entrare.
E la leva è scattata appena le mie dita l'hanno sfiorata, ed un passaggio si è aperto sul buio del pianerottolo.

E' entrata, ed il passaggio si è richiuso.
Sentivo la sua presenza ma avvolta dal buio non riuscivo a vederla. Nessun contorno da mettere a fuoco, solo lievi spostamenti d'aria secondo che lei muovesse una mano o si toccasse i capelli.
Come in un mostruoso incubo la stanza ora sembrava uno stretto cunicolo, e lo spiraglio una sottilissima crepa.
Muovevo le braccia in uno spazio sempre più minimo, fendendo le ombre, cercando indizi della sua presenza.
Ma la stanza era assolutamente vuota.
Per favore, fammi entrare.
Implorava ancora dall'esterno del passaggio.
Con le mani cercavo di respingere le pareti che inesorabilmente mi avrebbero schiacciata.
Per favore, fammi entrare.
E i calcinacci grattati via dalla furia delle mie dita diventavano macerie di una crepa sempre più grande all'interno del muro.
Poi ci sono caduta dentro.

E' entrata, e la crepa ha iniziato a richiudersi.
Sentivo la sua presenza ma avvolta dal buio non riuscivo a vederla. Nessun contorno da mettere a fuoco, solo lievi spostamenti d'aria secondo che lei muovesse una mano o si toccasse i capelli.
Come in un film horror ero imprigionata nella voragine che si stava ora richiudendo su di me.
Il mio ultimo, inutile sforzo, è stato quello di tendere una mano affinché lei potesse afferrarmi.
Ma la stanza era assolutamente vuota.

venerdì 26 dicembre 2008

Una cartolina da Roma

Da un bel pò di tempo, Mari, qualunque cosa tu scriva non riceve mai la sua approvazione.
Questo blog è un diario, e non solo.
 Di cosa pretende che tu parli?
Ogni cazzo di parola è tua. TUA. Parole scaturite dal profondo più primitivo e per questo forse più difficili d'accettare perchè non sottoposte a nessuna modifica.
Diciamoci la verità sorella, fuori sei piuttosto anonima ma dentro......dentro non lo sei.
Mi piace il tuo dentro, Mari. E' violento e vorticoso: non permettere a nessuno di spianare le rocciose asperità delle tue cime, o colmare di acqua tiepida le cavità dei canyon.
Vomita l'urgenza dei tuoi pensieri.
Non abbellire, Mari, non edulcorare.
Non scrivere conformemente alle norme o alle altrui aspettative.
Non scrivere per gli altri.

"Questo spazio è mio, me lo sono conquistato, qui c'è la mia bandiera, strappata e sbiadita, qui c'è il mio fiore di sangue, qui c'è il sudario bianco della mia resurrezione.
Landa rugosa e inappetibile dove la mia voce è vento, la mia rabbia sassi e la mia gioia sole.
Terra di cani e di lucertole.
Terra inaccessibile all'inganno dei pifferai magici e alla frusta dei domatori da circo: le mie ragioni non sono addomesticabili."

Qui ci sei tu, ricordi?
Ma forse lo hai dimenticato.
L'entusiasmo con il quale hai iniziato...dove è finito?
L'entusiasmo era nella libertà della tua scrittura, nell'anarchia del tuo sentire.
E mi piaceva quel tuo modo di proporti.
Di mostrarti.
L'irruenza e lo scompiglio delle parole. Un terremoto sotterraneo che urgeva di eruttare alla superficie, attraverso la bocca di un vulcano, le necessità corporali dei visceri e dello stomaco.
E' questo Mari lo scrivere.
La scrittura odora anche di cacca e di vomito. Lo stesso odore di quando si viene al mondo. Si nasce sporchi di merda e di sangue e di liquidi. Non si è belli e non si profuma.
Disconoscere questo significa rinnegare alcuni elementi della vita.
Nascondere i contorcimenti delle doglie sotto l'azzurro manto della Madonna, rivestendo di divino ciò che è assolutamente umano è un travisamento, programmato e consapevole, della verità. E se in quella verità ci sono merda e piscio e sangue dobbiamo essere pronti ad accettarli.
Sbagliato sarebbe rallentare la perentorietà delle doglie per frenarne la spinta finale, la più violenta, quella che espelle il neonato.
Sbagliato sarebbe ricacciare in gola il grido più forte, quello che precede il pianto del bambino e l'animalesca liberazione dei visceri.
Amaranta
PS - La verità di noi stessi è spesso per gli altri una medicina amara che, per essere ingerita, ha bisogno di un cucchiaino di zucchero: quanti post hai scritto e cancellato per la paura del fraintendimento?
La ricerca ossessiva del termine che non induca a possibili distorcimenti!
Tu lo hai fatto Mari, generosamente, ma a cosa ti è servito se, nonostante i ragionamenti e le spiegazioni, il fraintendimento ottusamente è rimasto come verità inconfutabile?
Amaranta

giovedì 25 dicembre 2008

Dark Christmas

Se ne è andato sbattendo la porta.
Dai rami  addobbati, dell'albero di Natale, è colata una pioggerella impalpabile di porporina e pulviscolo d'argento: un brillio irreale ha avvolto la stanza.
Le fiammelle delle candele sono avvoltolate su se stesse disegnando sul bianco delle pareti strani arabeschi, geroglifici invocanti un suo ripensamento.
Inutilmente.
Lui è fuori, nel pomeriggio già buio, insensibile al richiamo delle luci della festa.
I flute di cristallo vuoti, scintillanti sull'oro della tovaglia, raccontano di un augurio mai pronunciato.
Ha iniziato a cadere una fitta pioggia, incessante e fredda.
Poi è sceso il silenzio, dopo che se ne è andato lasciando un duro vuoto fisico.
Un vuoto poi invaso da fitte ombre voraci che, colando dal grigio plumbeo esterno, sono penetrate nella stanza oscurando il chiarore di fumo delle candele.
Avvolti dalle ombre improvvise di questa eclissi non annunciata, gli angeli, con le ali di cera raggrumate e le fisionomie stravolte, si sono involati dalle loro icone, come uccelli rapaci in agguato sui lampadari barocchi, pronti ad avventarsi nel buio.
Angeli incoerenti, senza più cielo.
Deliranti, dopo che lui se ne è andato sbattendo la porta.
Senza voltarsi indietro.
Volutamente ignorando le ombre che minacciose si allungano dietro le tende di merletto.

martedì 23 dicembre 2008

Bisogna conservare la memoria delle cose accadute

I Freaks sono sul piede di guerra, sempre più incessanti i loro assalti notturni, sempre più raffinate le loro tattiche di guerriglia. Non riesco a fronteggiarli con la lucidità necessaria perchè, ultimamente, troppo spesso mi lascio sopraffare dal languore: tolgo gli anfibi e svuoto le cartucciere, sciolgo i capelli ed indosso corpetti femminili. L'amazzone si riscopre donna. I miei capelli scompigliati recano traccia dell'impazienza delle sue dita. Non voglio tornare nel buio del sogno, almeno per un pò voglio lasciarmi cullare ancora dalle sue braccia e ridere delle sue battute e sentirmi voluttuosamente bene.
Non c'è Alice in quegli abiti minimi, nè la seduttiva Amaranta, nè l'oscura Kindred, ma ci sono io, Marilena, la donna. E la cosa meravigliosa è avere la certezza che lui vuole davvero me. Solo me. Così, come sono.
Per lungo tempo sono stata sulle barricate vivendo solo per fronteggiare il nemico.
Così, la guerra, sarebbe potuta diventare l'unica ragione della mia vita dove lo scopo ultimo non sarebbe stato nella necessità di una vittoria ma nell'esigenza di continuare a perpetrarla.
Non spaventa il nemico ma bensì la sua assenza, perchè la sua assenza è quella del mondo.
Guardo negli occhi i miei Freaks, e non mi riesce di odiarli e non perchè io sia estremamente buona o gandhiana (tutt'altro, io non concepisco la filosofia del "porgi l'altra guancia" e non sono facile al perdono), ma soltanto perchè loro hanno colmato quello spazio che, se fosse rimasto vuoto, avrebbe potuto riempirsi, in maniera abnorme e paranoica, di tanti ritagli di me.
Io, controparte di me stessa. Sono certa che questo, alla fine, mi avrebbe distrutta.
Ed invece sono apparsi loro, i Freaks, i miei piccoli attori, crudeli ed eroici, fantasiosi e distruttivi.
Hanno animato i miei scenari immobili, ossessivi. Hanno ristabilito il ritmo del tempo.
I miei piccoli cattivissimi Freaks hanno fatto si che i miei sensi non cedessero all'oblio. Mi hanno tenacemente impegnata in uno scontro per me impari, duro ma vitale. Mai avrei potuto vincere contro di loro, ma, in ultimo, non era la vittoria l'obiettivo da raggiungere.
Così ho imparato a sopravvivere e poi, di nuovo a vivere.
Non ho quindi nemici.
Non ho nemici, ma persone da cui prendere le distanze, beh quello si.
E lo sto facendo. Non perdono, non ci riesco.
Il male ricevuto è stato davvero grande e non posso far finta che nulla sia accaduto.
Dimenticare.
Cancellare.
Rimuovere.
No, non lo farò.
Bisogna conservare la memoria delle cose accadute.
Una memoria intatta e pulsante.
Marilena

mercoledì 17 dicembre 2008

L'odore del Natale

Ho poco senso olfattivo, non percepisco molto gli odori e questo, a volte, mi crea disagio.
Nella scelta di un profumo, ad esempio, le mie narici vanno in tilt solo se ne respiro un paio. Caos completo, perdo la traccia degli odori, li confondo, non riesco più a distinguerli. Per questo tendo ad usare sempre la stessa marca, una volta assodata la sua compatibilità con il mio ph e la sua gradevolezza su di me.
Ma questo sono altri nasi a stabilirlo perché il mio non lo percepisce quasi per niente.
Eppure, nonostante questo handicap, ho deciso quest'anno di respirare l'odore del Natale.
Proponimento di grande impegno dal momento che per troppo tempo questa festa per me ha significato solitudine, angoscia. Tristezza.
E' ora di ritrovare un'intesa, ristabilire un'armonia. Riassaporare una gioia perduta.
Per questo ho deciso di dargli la caccia: se lui non viene da me sarò io ad andare da lui.
Seguirò le sue tracce come un segugio, molto determinata, fermamente decisa a stanarlo.
Così stasera ho girovagato per le vie del mio quartiere irrompendo anche nelle zone limitrofe.
Serata dolce, quasi calda. Un cielo da subito notturno, nubi sfilacciate, promessa di pioggia. Niente stelle. Comete di plastica, invece, sfavillanti all'interno delle vetrine, e tubi lampeggianti, come magri serpentelli aggrovigliati tra gli articoli da regalo.
I miei occhi catturano luci ed ombre dell'allestimento scenico cittadino che si propone, inelegante e disarmonico, tra l'infantile naif e il kitsch barocco. Trasborda, talora eccessivo, talora puerile, mascherando la sua discontinuità sotto l'inganno delle luci stroboscopiche di una scenografia molto approssimativa.
Ma quello che riesco a vedere è quello che vuol mostrarsi e mi distoglie da quello che, invece, si sta nascondendo.
Devo impormi di cancellare la vista e affidarmi alla mia scarsa, seppur ostinata, capacità olfattiva.
L'odore che predomina è quello della sera, umida e liquida, e di fondamenta bagnate su cui poggiano le strutture geometriche dei palazzi, lunghi parallelepipedi protesi verso l'alto. Guglie metropolitane rischiarate dall'intermittenza dei neon: bagliori rossi e blu e verdi. Fosforescenti. Irritanti.
Ancora una volta la vista m'intrappola nel visibile. Ma io non ho interesse per quello che si mostra perché quello che cerco sicuramente è altrove.
Respiro profondamente.
Inalo con forza e in blocco tutto quello che la strada mi propone, finché alla fine permane un unico afrore, di grasso e di fumo: l'odore della città.
Sono sicura che, confuso con questo, c'è anche l'odore del Natale.
Devo solo riuscire a scinderlo.
Poi...il mio naso ha iniziato a sanguinare.
Marilena

domenica 14 dicembre 2008

Serial Killer

Non ho abbastanza fegato per mostrarti le visioni da mattatoio che devastano i miei sogni.
E il sangue che l'imbratta cola nel fondo della mia anima.
Non ho paura dei miei sogni, è il risveglio che mi spaventa.
Tutto quel silenzio cola nel fondo della mia anima.
Ho le mani fredde e la mente in tumulto, mi riesce difficile concentrarmi.
Vorrei afferrare la pienezza del sogno ed invece mi ritrovo tra le dita una pelle morta e grigia, un corpo sconosciuto che galleggia nel suo sangue.
E viene risucchiato nel fondo della mia anima.

venerdì 12 dicembre 2008

Amore per le parole

Amo le parole con la stessa passione con cui un pittore ama i suoi colori.
Le parole, per me, non sono semplici assemblaggi di consonanti e vocali, nè il risultato di un suono volutamente emesso dalla gola, ma anime in cerca di un contesto in cui materializzarsi, che una volta evocate assumono consistenza di volume e di peso.
E un'odore. E un colore.
Occupano uno spazio fisico.
Vivono.
Mi sono innamorata da bambina della parola pensata, del suo potere evocativo, magico.
Nel mio vocabolario di allora pochi termini, molto elementari e forse con gli accenti sbagliati, ma capaci di strapparmi a quella solitudine che troppo spesso si tramutava in pianto, e spalancare finestre su mondi fantastici o semplicemente meno desolanti.
Pensavo le parole e le vestivo di colori, così come vestivo la mia bambola (avevo una bambolina minuscola, molto essenziale, alla quale confezionavo gli abiti con la carta delle caramelle).
Le mie parole evocative avevano odore di caramella.
Le parole, anche quelle silenziose, quelle solo pensate, annullano il vuoto opprimente della solitudine.
Questo devo aver intuito da bambina, così m'inventavo una favola, ed il finale era sempre bello (a quel tempo credevo ancora molto al lieto fine).
Quando non inventavo elaboravo le storie sentite, le stravolgevo, le rendevo diverse da quello che erano in origine.
Difficilmente accettavo la storia così come mi veniva proposta: dovevo vestirla con una carta di caramella, e solo io potevo deciderne il colore e il sapore.
Marilena (parolaia naif)

giovedì 11 dicembre 2008

Animale mimetico

Paranoica.
Ha ragione Amaranta, è così che sono.
Le mie paranoie, e le mie maniacalità, anche se riesco a non palesarle pur sempre ci sono.
La mia immagine esterna è completamente diversa da quella che è nel mio profondo.
Animale mimetico.
Creatura irreale, proprio come quelle che abitano il mio mondo sotterraneo.
La donna.
La strega.
Io.
Ed anche quella che, tutt'oggi, non riesce a mostrarsi.
- Ognuno di noi ha i suoi segreti -
Sorrido ripensando a questa frase di Lorenzo detta in tono rassegnato, perchè in qualche modo questa mia maniera di propormi dà l'idea di escludere, di allontanare.
Di nascondere.
Molto più facile, invece, sarebbe stato per me disconoscere l'esistenza dell'antro, facendo finta che tutto potesse rapportarsi alla più semplice realtà di superficie, facilmente riassumibile nella verità di uno specchio o di uno sguardo, ignorando, volutamente, la facile assoggettabilità dell'uno e dell'altro alla casualità dei troppi fattori esterni, il cui risultato finale è l'immagine espressa in quel momento.
Parziale.
Marilena

mercoledì 10 dicembre 2008

Dialogo di mezzanotte

Marilena - Non ho più molto da dire.
Amaranta - Il silenzio non è male.
Marilena - Mi sento niente senza l'irruenza delle parole.
Amaranta - Sei solo stanca, dovresti andare a dormire invece di rimanere a fissare lo schermo del computer. Domani troverai sicuramente cose da dire. Scriverai un nuovo post, tormentandoti che avresti potuto elaborarlo meglio e ti cimenterai, con il tuo solito impegno, in quella maniacale opera di perfezionamento che ti terrà occupata per un qualche tempo, con buona pace di noi tutti.
Marilena - La realtà mi annoia e non mi offre spunti di scrittura. Devo attingere alla fantasia, ma allora che senso ha più questo blog? Era nato con la prospettiva di......
Amaranta - Di cosa? Ricominciamo con le seghe mentali? Ecco, parla di questo tuo straordinario talento, vedrai che riuscirai a scrivere post su post, riempiendo il web unicamente di tutte le tue paranoie e seppellendo sotto il loro peso i malcapitati che si soffermeranno a leggere.
Marilena - Non voglio correre il rischio di diventare inconsistente. Insomma, voglio esserci, come c'ero prima, quando ho iniziato questo diario.
Amaranta - Il rischio di essere inconsistente non lo corri Mari, sei una gran rompiballe, e questo, ti assicuro, ti rende estremamente consistente.
Marilena - Sei la mia alter ego e dovresti essere solidale con me.
Amaranta - Essere la tua alter ego non mi obbliga a bieche connivenze col tuo modo contorto di essere. Ora me ne vado a dormire e faresti bene ad andarci anche tu sorellina perchè, come disse molto saggiamente, e in tempi non sospetti, Scarlett O'Hara "domani è un altro giorno".
Marilena & Amaranta

lunedì 8 dicembre 2008

Dimore

...e la luce comunque penetra tra i pertugi e le assi sconnesse della mia buia dimora mediando così, in solidale connubio con l'oscurità più profonda, la tranquillità rassicurante della penombra.
Una casa antro.
Una casa utero.
Una casa anima.

In tutti i luoghi in cui ho dimorato nessuno è stato più accogliente del mio antro.
Nemmeno la mia casa reale, che io adoro e che mi somiglia.
Il mio antro costruito ai margini di quel "non luogo" di cui nessuna mappa reca traccia.
Il mio antro, scuro ed irraggiungibile, abitato da quei fantasmi che la mia depressione ha scoperto, invece, essere umanissimi.
Anime inquiete come me, deliranti e febbrili.
Fragili. Granitiche.
Ossimori, anche loro alla ricerca di un posto in cui sopravvivere, inaccessibile alla devastante invasione delle presenze esterne.
Quelle presenze che avevano nomi e occhi conosciuti e parole...ipocrisia ed indifferenza.
Non importa più ora.
La mia casa poggia su fondamenta solidissime: sono le mie braccia e la consapevolezza della mia forza.







sabato 6 dicembre 2008

L'affabulatrice

Il magico incantesimo delle parole sulle sue labbra, e così anche l'assurdamente fantastico ha sembianza di un corpo e una dimora reale.
La dolcezza ipnotica della sua voce che sa raccontare con le pause e i silenzi, e gestire con maestria l'irruenza carnalissima delle immagini.
Sedurre, raccontando delle tumultuose e mutevoli umane passioni, di quando i desideri hanno seni di donna, occhi di tempesta e mani febbrili.
Stravolgere i teoremi, ingarbugliare le geometrie, contestare l' indubitabile in una mirabolante apoteosi narrativa, pronta ad accettare la sfida di riuscire a catturare una stella fiammeggiante contro tutte quelle logiche che la stabiliscono elusiva, inafferrabile.
Questa è la sua missione.

Anteprima

lunedì 1 dicembre 2008

Amaranta, Alice, Kindred...insomma io, Marilena

Amaranta, Alice, Kindred...insomma io, Marilena.
Convivere tutte assieme non è di certo facile, specie se chi ospita è alta solo 1,58 e pesa 48 kg, ed è soggetta a sbalzi di umore di una certa entità.
Nessuna, però, è più importante delle altre. Nessuna predomina per un tempo eccessivo.
Può accadere che in determinati momenti una di noi riesca a sovrapporsi, ad essere più esterna, più definita, ma mai cederebbe alla tentazione di cancellare o sottomettere le altre. Siamo pienamente coscienti che le marcate differenze risaltano le unicità individuali, così come il talento e la fantasia e l'esperienza di ognuna sono patrimonio condivisibile, ricchezze a cui tutte noi possiamo attingere.
Amaranta, la mia bellissima alter ego, è quella di cui più ho raccontato, sono io come avrei voluto essere: pragmatica, seduttiva, sanamente cinica. Geneticamente anarchica.
Lei è nel presente. E' quella che ha messo a tacere LA VOCE, è quella che sempre mi sfida, è la mia sorella, preveggente e saggia.
Lei mi ha insegnato l'urlo. Lei mi ha evitato d'implodere.
Alice...ogni tanto ho raccontato di lei nei miei post. E' quella che più mi somiglia per questo forse ho pudore a parlarne.
E' la mia ombra bambina, l'adolescente smarrita, la sognatrice che dimora dentro il buio di uno specchio. Alice è la mia fantasia.
Lei, ha i miei occhi e la mia anima. Lei è la mia ombra chiara.
Kindred è il mio antro, privatissimo ed inaccessibile. E' la mia ombra oscura.
Di lei non voglio parlarne.
Marilena

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