Dedico questo blog a mia madre, meravigliosa farfalla dalle ali scure e dal cuore buio, totalmente priva del senso del volo e dell'orientamento e, per questo, paurosa del cielo aperto. Nevrotica. Elusiva. Inafferrabile.

martedì 30 dicembre 2008

Connessione fallita

Connessione fallita: è la scritta rossa che lampeggia costantemente nella mia vita.
Sono infallibile, invece, nello scegliere le persone, le situazioni, i momenti, sempre inesorabilmente sbagliati.
Sono malfidata per le troppe fregature prese, anche se l'essere costantemente all'erta non mi ha preservato dal continuare a prenderle. E questo rompermi l'osso del collo, in stato vigile e in assetto di guerra, ha fatto si che le mie inevitabili incazzature durassero molto più del dovuto e fossero molto più pesanti da digerire.
Da un po', comunque, ho dismesso l'uso della corazza integrale, e non perché abbia acquistato fiducia nel mondo o sia diventata un tantino più ottimista...naaaaaa, ma per la semplice esperienza sul campo che mi ha insegnato che è inutile proteggere le zone a rischio di frattura perché basta un piede allungato per farti cadere con la faccia nella polvere.
Appartengo a quella categoria di persone che se deve scegliere tra due opzioni di sicuro opterà per la più complicata o la più improbabile. Comunque sbagliata.
Senza parlare del mio senso dell'orientamento che è zero assoluto: senza l'ausilio dell'alzheimer, riesco a perdermi nel perimetro della mia casa.
E, oltretutto, sono anche una pessima fisionomista.
Mi salvano i miei occhiali da sole che indosso anche in giornate di fitta nebbia o di pioggia intensa, così posso spudoratamente dar la colpa alle lenti scure se non riconosco qualcuno che, invece, dovrei conoscere.
E quasi mai ricordo i nomi.
In questi casi mi attengo sempre sul vago, sull'ovvio. Ho una parlantina piuttosto sciolta (sono un'appassionata cultrice dell'arte oratoria) e la conoscenza di un vasto repertorio di frasi convenzionali, adattabili ad ogni situazione e, nonostante sia piuttosto timida, riesco a propinarle con discreta naturalezza, anche se dopo passo tutto il tempo a rompermi la testa per ricordarmi almeno il nome del tizio.

Connessione fallita: per il mio rapporto conflittuale con gli oggetti e la tecnologia in particolare.
Sono maldestra con tutto quello che richiede una qualsiasi manualità, dallo svitamento dei tappi di sicurezza delle medicine a quelli dei detersivi (ho una piccola collezione di flaconi orrendamente decapitati o rozzamente forati nelle segrete del mio sotto lavello), senza trascurare tutti gli altri arnesi di uso comune quali apriscatole, apribottiglie, frullatori, spremiagrumi elettrici, ferri da stiro, phon ed affini. Ho ingaggiato memorabili ed estenuanti match all'ultimo round con vari tipi di elettrodomestici, di vecchia e nuova generazione. Ho un rapporto paritario solo col cellulare quando alla fine ne capisco il meccanismo, e per questo lo cambio solo quando ormai, malandato e terminale, implora l'eutanasia. Molto controverso, invece, è quello instaurato col computer (adoro il pc ma parliamo linguaggi HTML diversi).
Non cambio più le lampadine da quando, tempo fa, ho mandato in tilt, in una banalissima operazione di avvitamento, l'impianto elettrico di casa. Così come sto lontana dal timer della caldaia (ho dormito in pieno inverno con le finestre spalancate!)
Purtroppo sono tenace, non mi arrendo facilmente e desisto solo quando ormai ho deformato o reso inservibile l'utensile.
("Tu sembri una persona normale ma in realtà sei l'angelo della morte". Così mi ha detto una volta un amico citando una battuta del film "Harry ti presento Sally")

Connessione fallita: per la mia totale incapacità a guidare qualsiasi altra cosa che non siano i miei piedi.
Riesco, ad esempio, con la macchina a zig-zagare ma non ad andare dritta.
Zig-zago in modo spettacolare, ma non riesco a guidare in maniera convenzionale: per questo non guido. Il codice della strada non contempla l'andatura a zig-zag, ma immagino che neppure gli altri automobilisti sarebbero felici d'incontrarmi sulla loro strada, soprattutto nell'eventualità di un incolonnamento. Così, dopo tenaci ma falliti tentativi (crisi di pianto da parte mia e crisi isteriche da parte di chi, coraggiosamente, era salito sulla mia auto), ho gettato la spugna. E' questa, però, una rinuncia che ancora oggi brucia, ed invidio ed ammiro perfino l'automobilista più insufficiente, quello che fa grattare le marce e prende le curve troppo larghe o troppo strette, ma che comunque riesce ad andare dritto.
Ad ogni buon conto non va meglio nemmeno con la bici o con il motorino. La moto, poi, non la prendo nemmeno in considerazione.
Devo essere nata sprovvista del baricentro o di qualsiasi altra cosa serva a dare un equilibrio: su un mezzo a due ruote pencolo a destra o a sinistra con molte probabilità di capottarmi da ferma.
Marilena

domenica 28 dicembre 2008

Per favore, fammi entrare

Per favore, fammi entrare.
Invocava la sconosciuta da dietro la porta.
Ho aperto e lei è entrata.
Perchè l'ho fatto?
Non potevo uscire dalla stanza perché quella porta prima non c'era (o almeno io non l'avevo notata), fin quando lei ha chiesto di entrare, ed ecco che, con stupore, ne scoprivo l'esistenza.
Ovvio che se avessi aperto per uscire avrei permesso a lei d'entrare, ma quello era l'unico modo per fuggire dal mio incubo.
Il mio benvenuto più caloroso a chiunque fosse venuto a prendere il mio posto.

E' entrata, e la porta si è richiusa.
Sentivo la sua presenza ma avvolta dal buio non riuscivo a vederla. Nessun contorno da mettere a fuoco, solo lievi spostamenti d'aria secondo che lei muovesse una mano o si toccasse i capelli.
Come in un sogno, la stanza, diventata oblunga, aveva ora pareti altissime e un sottile spiraglio dove prima c'era la porta.
Allungavo le mani come una cieca, tastando il buio, cercando tracce della sua presenza.
Ma la stanza era assolutamente vuota.
Per favore, fammi entrare.
Implorava ancora dall'esterno dello spiraglio.
Ed io, allora, tentavo di allargare l'esile fessura con la disperazione delle mani.
Pareti invalicabili e sempre meno spazio per muovermi.
Per favore, fammi entrare.
E la leva è scattata appena le mie dita l'hanno sfiorata, ed un passaggio si è aperto sul buio del pianerottolo.

E' entrata, ed il passaggio si è richiuso.
Sentivo la sua presenza ma avvolta dal buio non riuscivo a vederla. Nessun contorno da mettere a fuoco, solo lievi spostamenti d'aria secondo che lei muovesse una mano o si toccasse i capelli.
Come in un mostruoso incubo la stanza ora sembrava uno stretto cunicolo, e lo spiraglio una sottilissima crepa.
Muovevo le braccia in uno spazio sempre più minimo, fendendo le ombre, cercando indizi della sua presenza.
Ma la stanza era assolutamente vuota.
Per favore, fammi entrare.
Implorava ancora dall'esterno del passaggio.
Con le mani cercavo di respingere le pareti che inesorabilmente mi avrebbero schiacciata.
Per favore, fammi entrare.
E i calcinacci grattati via dalla furia delle mie dita diventavano macerie di una crepa sempre più grande all'interno del muro.
Poi ci sono caduta dentro.

E' entrata, e la crepa ha iniziato a richiudersi.
Sentivo la sua presenza ma avvolta dal buio non riuscivo a vederla. Nessun contorno da mettere a fuoco, solo lievi spostamenti d'aria secondo che lei muovesse una mano o si toccasse i capelli.
Come in un film horror ero imprigionata nella voragine che si stava ora richiudendo su di me.
Il mio ultimo, inutile sforzo, è stato quello di tendere una mano affinché lei potesse afferrarmi.
Ma la stanza era assolutamente vuota.

venerdì 26 dicembre 2008

Una cartolina da Roma

Da un bel pò di tempo, Mari, qualunque cosa tu scriva non riceve mai la sua approvazione.
Questo blog è un diario, e non solo.
 Di cosa pretende che tu parli?
Ogni cazzo di parola è tua. TUA. Parole scaturite dal profondo più primitivo e per questo forse più difficili d'accettare perchè non sottoposte a nessuna modifica.
Diciamoci la verità sorella, fuori sei piuttosto anonima ma dentro......dentro non lo sei.
Mi piace il tuo dentro, Mari. E' violento e vorticoso: non permettere a nessuno di spianare le rocciose asperità delle tue cime, o colmare di acqua tiepida le cavità dei canyon.
Vomita l'urgenza dei tuoi pensieri.
Non abbellire, Mari, non edulcorare.
Non scrivere conformemente alle norme o alle altrui aspettative.
Non scrivere per gli altri.

"Questo spazio è mio, me lo sono conquistato, qui c'è la mia bandiera, strappata e sbiadita, qui c'è il mio fiore di sangue, qui c'è il sudario bianco della mia resurrezione.
Landa rugosa e inappetibile dove la mia voce è vento, la mia rabbia sassi e la mia gioia sole.
Terra di cani e di lucertole.
Terra inaccessibile all'inganno dei pifferai magici e alla frusta dei domatori da circo: le mie ragioni non sono addomesticabili."

Qui ci sei tu, ricordi?
Ma forse lo hai dimenticato.
L'entusiasmo con il quale hai iniziato...dove è finito?
L'entusiasmo era nella libertà della tua scrittura, nell'anarchia del tuo sentire.
E mi piaceva quel tuo modo di proporti.
Di mostrarti.
L'irruenza e lo scompiglio delle parole. Un terremoto sotterraneo che urgeva di eruttare alla superficie, attraverso la bocca di un vulcano, le necessità corporali dei visceri e dello stomaco.
E' questo Mari lo scrivere.
La scrittura odora anche di cacca e di vomito. Lo stesso odore di quando si viene al mondo. Si nasce sporchi di merda e di sangue e di liquidi. Non si è belli e non si profuma.
Disconoscere questo significa rinnegare alcuni elementi della vita.
Nascondere i contorcimenti delle doglie sotto l'azzurro manto della Madonna, rivestendo di divino ciò che è assolutamente umano è un travisamento, programmato e consapevole, della verità. E se in quella verità ci sono merda e piscio e sangue dobbiamo essere pronti ad accettarli.
Sbagliato sarebbe rallentare la perentorietà delle doglie per frenarne la spinta finale, la più violenta, quella che espelle il neonato.
Sbagliato sarebbe ricacciare in gola il grido più forte, quello che precede il pianto del bambino e l'animalesca liberazione dei visceri.
Amaranta
PS - La verità di noi stessi è spesso per gli altri una medicina amara che, per essere ingerita, ha bisogno di un cucchiaino di zucchero: quanti post hai scritto e cancellato per la paura del fraintendimento?
La ricerca ossessiva del termine che non induca a possibili distorcimenti!
Tu lo hai fatto Mari, generosamente, ma a cosa ti è servito se, nonostante i ragionamenti e le spiegazioni, il fraintendimento ottusamente è rimasto come verità inconfutabile?
Amaranta

giovedì 25 dicembre 2008

Dark Christmas

Se ne è andato sbattendo la porta.
Dai rami  addobbati, dell'albero di Natale, è colata una pioggerella impalpabile di porporina e pulviscolo d'argento: un brillio irreale ha avvolto la stanza.
Le fiammelle delle candele sono avvoltolate su se stesse disegnando sul bianco delle pareti strani arabeschi, geroglifici invocanti un suo ripensamento.
Inutilmente.
Lui è fuori, nel pomeriggio già buio, insensibile al richiamo delle luci della festa.
I flute di cristallo vuoti, scintillanti sull'oro della tovaglia, raccontano di un augurio mai pronunciato.
Ha iniziato a cadere una fitta pioggia, incessante e fredda.
Poi è sceso il silenzio, dopo che se ne è andato lasciando un duro vuoto fisico.
Un vuoto poi invaso da fitte ombre voraci che, colando dal grigio plumbeo esterno, sono penetrate nella stanza oscurando il chiarore di fumo delle candele.
Avvolti dalle ombre improvvise di questa eclissi non annunciata, gli angeli, con le ali di cera raggrumate e le fisionomie stravolte, si sono involati dalle loro icone, come uccelli rapaci in agguato sui lampadari barocchi, pronti ad avventarsi nel buio.
Angeli incoerenti, senza più cielo.
Deliranti, dopo che lui se ne è andato sbattendo la porta.
Senza voltarsi indietro.
Volutamente ignorando le ombre che minacciose si allungano dietro le tende di merletto.

martedì 23 dicembre 2008

Bisogna conservare la memoria delle cose accadute

I Freaks sono sul piede di guerra, sempre più incessanti i loro assalti notturni, sempre più raffinate le loro tattiche di guerriglia. Non riesco a fronteggiarli con la lucidità necessaria perchè, ultimamente, troppo spesso mi lascio sopraffare dal languore: tolgo gli anfibi e svuoto le cartucciere, sciolgo i capelli ed indosso corpetti femminili. L'amazzone si riscopre donna. I miei capelli scompigliati recano traccia dell'impazienza delle sue dita. Non voglio tornare nel buio del sogno, almeno per un pò voglio lasciarmi cullare ancora dalle sue braccia e ridere delle sue battute e sentirmi voluttuosamente bene.
Non c'è Alice in quegli abiti minimi, nè la seduttiva Amaranta, nè l'oscura Kindred, ma ci sono io, Marilena, la donna. E la cosa meravigliosa è avere la certezza che lui vuole davvero me. Solo me. Così, come sono.
Per lungo tempo sono stata sulle barricate vivendo solo per fronteggiare il nemico.
Così, la guerra, sarebbe potuta diventare l'unica ragione della mia vita dove lo scopo ultimo non sarebbe stato nella necessità di una vittoria ma nell'esigenza di continuare a perpetrarla.
Non spaventa il nemico ma bensì la sua assenza, perchè la sua assenza è quella del mondo.
Guardo negli occhi i miei Freaks, e non mi riesce di odiarli e non perchè io sia estremamente buona o gandhiana (tutt'altro, io non concepisco la filosofia del "porgi l'altra guancia" e non sono facile al perdono), ma soltanto perchè loro hanno colmato quello spazio che, se fosse rimasto vuoto, avrebbe potuto riempirsi, in maniera abnorme e paranoica, di tanti ritagli di me.
Io, controparte di me stessa. Sono certa che questo, alla fine, mi avrebbe distrutta.
Ed invece sono apparsi loro, i Freaks, i miei piccoli attori, crudeli ed eroici, fantasiosi e distruttivi.
Hanno animato i miei scenari immobili, ossessivi. Hanno ristabilito il ritmo del tempo.
I miei piccoli cattivissimi Freaks hanno fatto si che i miei sensi non cedessero all'oblio. Mi hanno tenacemente impegnata in uno scontro per me impari, duro ma vitale. Mai avrei potuto vincere contro di loro, ma, in ultimo, non era la vittoria l'obiettivo da raggiungere.
Così ho imparato a sopravvivere e poi, di nuovo a vivere.
Non ho quindi nemici.
Non ho nemici, ma persone da cui prendere le distanze, beh quello si.
E lo sto facendo. Non perdono, non ci riesco.
Il male ricevuto è stato davvero grande e non posso far finta che nulla sia accaduto.
Dimenticare.
Cancellare.
Rimuovere.
No, non lo farò.
Bisogna conservare la memoria delle cose accadute.
Una memoria intatta e pulsante.
Marilena

mercoledì 17 dicembre 2008

L'odore del Natale

Ho poco senso olfattivo, non percepisco molto gli odori e questo, a volte, mi crea disagio.
Nella scelta di un profumo, ad esempio, le mie narici vanno in tilt solo se ne respiro un paio. Caos completo, perdo la traccia degli odori, li confondo, non riesco più a distinguerli. Per questo tendo ad usare sempre la stessa marca, una volta assodata la sua compatibilità con il mio ph e la sua gradevolezza su di me.
Ma questo sono altri nasi a stabilirlo perché il mio non lo percepisce quasi per niente.
Eppure, nonostante questo handicap, ho deciso quest'anno di respirare l'odore del Natale.
Proponimento di grande impegno dal momento che per troppo tempo questa festa per me ha significato solitudine, angoscia. Tristezza.
E' ora di ritrovare un'intesa, ristabilire un'armonia. Riassaporare una gioia perduta.
Per questo ho deciso di dargli la caccia: se lui non viene da me sarò io ad andare da lui.
Seguirò le sue tracce come un segugio, molto determinata, fermamente decisa a stanarlo.
Così stasera ho girovagato per le vie del mio quartiere irrompendo anche nelle zone limitrofe.
Serata dolce, quasi calda. Un cielo da subito notturno, nubi sfilacciate, promessa di pioggia. Niente stelle. Comete di plastica, invece, sfavillanti all'interno delle vetrine, e tubi lampeggianti, come magri serpentelli aggrovigliati tra gli articoli da regalo.
I miei occhi catturano luci ed ombre dell'allestimento scenico cittadino che si propone, inelegante e disarmonico, tra l'infantile naif e il kitsch barocco. Trasborda, talora eccessivo, talora puerile, mascherando la sua discontinuità sotto l'inganno delle luci stroboscopiche di una scenografia molto approssimativa.
Ma quello che riesco a vedere è quello che vuol mostrarsi e mi distoglie da quello che, invece, si sta nascondendo.
Devo impormi di cancellare la vista e affidarmi alla mia scarsa, seppur ostinata, capacità olfattiva.
L'odore che predomina è quello della sera, umida e liquida, e di fondamenta bagnate su cui poggiano le strutture geometriche dei palazzi, lunghi parallelepipedi protesi verso l'alto. Guglie metropolitane rischiarate dall'intermittenza dei neon: bagliori rossi e blu e verdi. Fosforescenti. Irritanti.
Ancora una volta la vista m'intrappola nel visibile. Ma io non ho interesse per quello che si mostra perché quello che cerco sicuramente è altrove.
Respiro profondamente.
Inalo con forza e in blocco tutto quello che la strada mi propone, finché alla fine permane un unico afrore, di grasso e di fumo: l'odore della città.
Sono sicura che, confuso con questo, c'è anche l'odore del Natale.
Devo solo riuscire a scinderlo.
Poi...il mio naso ha iniziato a sanguinare.
Marilena

domenica 14 dicembre 2008

Serial Killer

Non ho abbastanza fegato per mostrarti le visioni da mattatoio che devastano i miei sogni.
E il sangue che l'imbratta cola nel fondo della mia anima.
Non ho paura dei miei sogni, è il risveglio che mi spaventa.
Tutto quel silenzio cola nel fondo della mia anima.
Ho le mani fredde e la mente in tumulto, mi riesce difficile concentrarmi.
Vorrei afferrare la pienezza del sogno ed invece mi ritrovo tra le dita una pelle morta e grigia, un corpo sconosciuto che galleggia nel suo sangue.
E viene risucchiato nel fondo della mia anima.

venerdì 12 dicembre 2008

Amore per le parole

Amo le parole con la stessa passione con cui un pittore ama i suoi colori.
Le parole, per me, non sono semplici assemblaggi di consonanti e vocali, nè il risultato di un suono volutamente emesso dalla gola, ma anime in cerca di un contesto in cui materializzarsi, che una volta evocate assumono consistenza di volume e di peso.
E un'odore. E un colore.
Occupano uno spazio fisico.
Vivono.
Mi sono innamorata da bambina della parola pensata, del suo potere evocativo, magico.
Nel mio vocabolario di allora pochi termini, molto elementari e forse con gli accenti sbagliati, ma capaci di strapparmi a quella solitudine che troppo spesso si tramutava in pianto, e spalancare finestre su mondi fantastici o semplicemente meno desolanti.
Pensavo le parole e le vestivo di colori, così come vestivo la mia bambola (avevo una bambolina minuscola, molto essenziale, alla quale confezionavo gli abiti con la carta delle caramelle).
Le mie parole evocative avevano odore di caramella.
Le parole, anche quelle silenziose, quelle solo pensate, annullano il vuoto opprimente della solitudine.
Questo devo aver intuito da bambina, così m'inventavo una favola, ed il finale era sempre bello (a quel tempo credevo ancora molto al lieto fine).
Quando non inventavo elaboravo le storie sentite, le stravolgevo, le rendevo diverse da quello che erano in origine.
Difficilmente accettavo la storia così come mi veniva proposta: dovevo vestirla con una carta di caramella, e solo io potevo deciderne il colore e il sapore.
Marilena (parolaia naif)

giovedì 11 dicembre 2008

Animale mimetico

Paranoica.
Ha ragione Amaranta, è così che sono.
Le mie paranoie, e le mie maniacalità, anche se riesco a non palesarle pur sempre ci sono.
La mia immagine esterna è completamente diversa da quella che è nel mio profondo.
Animale mimetico.
Creatura irreale, proprio come quelle che abitano il mio mondo sotterraneo.
La donna.
La strega.
Io.
Ed anche quella che, tutt'oggi, non riesce a mostrarsi.
- Ognuno di noi ha i suoi segreti -
Sorrido ripensando a questa frase di Lorenzo detta in tono rassegnato, perchè in qualche modo questa mia maniera di propormi dà l'idea di escludere, di allontanare.
Di nascondere.
Molto più facile, invece, sarebbe stato per me disconoscere l'esistenza dell'antro, facendo finta che tutto potesse rapportarsi alla più semplice realtà di superficie, facilmente riassumibile nella verità di uno specchio o di uno sguardo, ignorando, volutamente, la facile assoggettabilità dell'uno e dell'altro alla casualità dei troppi fattori esterni, il cui risultato finale è l'immagine espressa in quel momento.
Parziale.
Marilena

mercoledì 10 dicembre 2008

Dialogo di mezzanotte

Marilena - Non ho più molto da dire.
Amaranta - Il silenzio non è male.
Marilena - Mi sento niente senza l'irruenza delle parole.
Amaranta - Sei solo stanca, dovresti andare a dormire invece di rimanere a fissare lo schermo del computer. Domani troverai sicuramente cose da dire. Scriverai un nuovo post, tormentandoti che avresti potuto elaborarlo meglio e ti cimenterai, con il tuo solito impegno, in quella maniacale opera di perfezionamento che ti terrà occupata per un qualche tempo, con buona pace di noi tutti.
Marilena - La realtà mi annoia e non mi offre spunti di scrittura. Devo attingere alla fantasia, ma allora che senso ha più questo blog? Era nato con la prospettiva di......
Amaranta - Di cosa? Ricominciamo con le seghe mentali? Ecco, parla di questo tuo straordinario talento, vedrai che riuscirai a scrivere post su post, riempiendo il web unicamente di tutte le tue paranoie e seppellendo sotto il loro peso i malcapitati che si soffermeranno a leggere.
Marilena - Non voglio correre il rischio di diventare inconsistente. Insomma, voglio esserci, come c'ero prima, quando ho iniziato questo diario.
Amaranta - Il rischio di essere inconsistente non lo corri Mari, sei una gran rompiballe, e questo, ti assicuro, ti rende estremamente consistente.
Marilena - Sei la mia alter ego e dovresti essere solidale con me.
Amaranta - Essere la tua alter ego non mi obbliga a bieche connivenze col tuo modo contorto di essere. Ora me ne vado a dormire e faresti bene ad andarci anche tu sorellina perchè, come disse molto saggiamente, e in tempi non sospetti, Scarlett O'Hara "domani è un altro giorno".
Marilena & Amaranta

lunedì 8 dicembre 2008

Dimore

...e la luce comunque penetra tra i pertugi e le assi sconnesse della mia buia dimora mediando così, in solidale connubio con l'oscurità più profonda, la tranquillità rassicurante della penombra.
Una casa antro.
Una casa utero.
Una casa anima.

In tutti i luoghi in cui ho dimorato nessuno è stato più accogliente del mio antro.
Nemmeno la mia casa reale, che io adoro e che mi somiglia.
Il mio antro costruito ai margini di quel "non luogo" di cui nessuna mappa reca traccia.
Il mio antro, scuro ed irraggiungibile, abitato da quei fantasmi che la mia depressione ha scoperto, invece, essere umanissimi.
Anime inquiete come me, deliranti e febbrili.
Fragili. Granitiche.
Ossimori, anche loro alla ricerca di un posto in cui sopravvivere, inaccessibile alla devastante invasione delle presenze esterne.
Quelle presenze che avevano nomi e occhi conosciuti e parole...ipocrisia ed indifferenza.
Non importa più ora.
La mia casa poggia su fondamenta solidissime: sono le mie braccia e la consapevolezza della mia forza.







sabato 6 dicembre 2008

L'affabulatrice

Il magico incantesimo delle parole sulle sue labbra, e così anche l'assurdamente fantastico ha sembianza di un corpo e una dimora reale.
La dolcezza ipnotica della sua voce che sa raccontare con le pause e i silenzi, e gestire con maestria l'irruenza carnalissima delle immagini.
Sedurre, raccontando delle tumultuose e mutevoli umane passioni, di quando i desideri hanno seni di donna, occhi di tempesta e mani febbrili.
Stravolgere i teoremi, ingarbugliare le geometrie, contestare l' indubitabile in una mirabolante apoteosi narrativa, pronta ad accettare la sfida di riuscire a catturare una stella fiammeggiante contro tutte quelle logiche che la stabiliscono elusiva, inafferrabile.
Questa è la sua missione.

Anteprima

lunedì 1 dicembre 2008

Amaranta, Alice, Kindred...insomma io, Marilena

Amaranta, Alice, Kindred...insomma io, Marilena.
Convivere tutte assieme non è di certo facile, specie se chi ospita è alta solo 1,58 e pesa 48 kg, ed è soggetta a sbalzi di umore di una certa entità.
Nessuna, però, è più importante delle altre. Nessuna predomina per un tempo eccessivo.
Può accadere che in determinati momenti una di noi riesca a sovrapporsi, ad essere più esterna, più definita, ma mai cederebbe alla tentazione di cancellare o sottomettere le altre. Siamo pienamente coscienti che le marcate differenze risaltano le unicità individuali, così come il talento e la fantasia e l'esperienza di ognuna sono patrimonio condivisibile, ricchezze a cui tutte noi possiamo attingere.
Amaranta, la mia bellissima alter ego, è quella di cui più ho raccontato, sono io come avrei voluto essere: pragmatica, seduttiva, sanamente cinica. Geneticamente anarchica.
Lei è nel presente. E' quella che ha messo a tacere LA VOCE, è quella che sempre mi sfida, è la mia sorella, preveggente e saggia.
Lei mi ha insegnato l'urlo. Lei mi ha evitato d'implodere.
Alice...ogni tanto ho raccontato di lei nei miei post. E' quella che più mi somiglia per questo forse ho pudore a parlarne.
E' la mia ombra bambina, l'adolescente smarrita, la sognatrice che dimora dentro il buio di uno specchio. Alice è la mia fantasia.
Lei, ha i miei occhi e la mia anima. Lei è la mia ombra chiara.
Kindred è il mio antro, privatissimo ed inaccessibile. E' la mia ombra oscura.
Di lei non voglio parlarne.
Marilena

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domenica 30 novembre 2008

Arcobaleni

Nera notte di nubi squarciate e di acqua e di grandine e poi...la meraviglia del risveglio nel cuore vivo di un arcobaleno.
Ho aperto gli occhi e la tag di KILROY campeggiava in vivide lettere sull'arcata della mia stanza: un piccolo capolavoro. E, all'interno di questo iridescente arcobaleno c'era scritto, col rosso più intenso che io abbia mai visto, WITCH, racchiuso nel contorno di un cuore.
E il flash fuggente del largo sorriso del piccolo Freak che spariva inghiottito dal giorno.

E un nuovo inaspettato arcobaleno di petali di fiori nel ricordo di una foto sul suo blog.
Fiori che sbocciano prematuri dalle zolle di neve di un autunno piemontese.
Petali, come dita gelate che cercano il calore sulle mie labbra e tra i miei seni.
Petali come arcobaleni tempestosi, trasportati dal vento e dalle farfalle, affinché il cuore sempre ricordi nelle notti più nere, la promessa, mai mancata, dell'aurora.

venerdì 28 novembre 2008

Lo specchio di Alice e l'antro della strega

Sono guarita, non c'è più la depressione.
Sono guarita ma ho dentro un vuoto sconosciuto, diverso da quello noto del mio malessere.
E' un vuoto assolutamente vuoto.
E un'angoscia diversa, tranquilla, quasi serena.
La depressione mi teneva in bilico sulla linea incerta di due confini, non dormivo la notte, ululavo nel buio ai fantasmi, cercavo di sopravvivere agli incubi, covavo pensieri di morte, e urlavo.
L'urlo mi affermava, rendendomi visibile.
E, in tutto questo caos, ho imparato a "sentirmi", sviluppando una sorta di sesto senso mediante il quale riusivo a percepire l'intera struttura ossea e muscolare e linfatica del mio corpo. La sentivo con i sensi tesi di un'animale che lotta per far fronte alle proprie esigenze, e continuamente all'erta per sfuggire agli agguati. Mai, come in quel periodo, ho avvertito la necessità animalesa della tana, un luogo dove trovar rifugio per riposarmi, per prendere fiato, per pensare un attimo solo a me stessa. C'era sempre qualcuno a stanarmi, a ricordarmi che avevo altro a cui pensare, doveri più urgenti a cui far fronte. Ed infine anche la devastazione dei sensi di colpa per quel tempo introspettivo e tolto alle esigenze del mondo. Anche se a quelle esigenze io ho continuato a provvedere, sia pure in stato catatonico e sotto farmaci, e con nelle orecchie il ronzio molesto di quelle voci che volevano essere d'incoraggiamento ma che mi trascinavano sempre di più dentro l'abisso, incattivendomi.
Nessuno, nemmeno per un momento ha pensato di alleggerirmi, almeno per il tempo necessario di una mia qualsiasi ripresa, del peso tremendo di quella croce che ancora oggi mi porto da sola sulle spalle.
E in solitudine ho vissuto la mia depressione.
Quando è iniziata la mia convalescenza?
E questo vuoto assolutamente vuoto che mi si allarga dentro, laddove prima s'annidava quello della malattia, cosa sta a significare?
E il mondo magico dell'antro?
Ha più senso che io vi rimanga?

Alice ha 52 anni e continua a rifiutare la verità dello specchio. Non vuol rischiare di perdere quei sogni che da bambina l'hanno salvata dalla paura e dalla solitudine. Senza quei sogni Alice non avrebbe più identità, nè spessore: non sarebbe più lei. Per questo quando dice di voler uscire dallo specchio in realtà non lo vuole davvero.
Lo specchio è "il mondo umano" di Alice così come l'antro è il mio.
Fuori dal mio antro c'è la stessa realtà di sempre (quella che mi ha condotta alla depressione), immutata, di cui io sono lucidamente cosciente e dalla quale so di non poter sfuggire. Ne sono consapevole e non la rifiuto in cambio di un'altra più congeniale alle mie esigenze, ma nell'antro c'è il buio e la musica, ci sono Amaranta e IggyBlOG e Kilroy, i Freaks e i Fantasmi Muti e l'esaltante follia della strega.
Nell'antro ci sono io.
Nessuna delle due realtà, quella dell'antro e quella della superficie, esclude in definitiva l'altra.
Marilena

lunedì 24 novembre 2008

Freaks

Freaks, i miei piccoli mostriciattoli mutanti, hanno dismesso la maschera tribale della morte e del sangue, ed ora si propongono, ghignanti e scherzosi, in caroselli dell'assurdo.
Attori di talento, travestono i miei morti da vivi con impressionante realismo imitativo, cosicchè io sempre cado nel loro tranello. Le battaglie notturne sono meno cruente di quando ho iniziato a scrivere questo blog, molto più tattiche ora, pericolosamente giocate nel campo dell'astuzia psicologica. E' una fredda guerra di nervi quella che si consuma nel buio dei miei sogni. Ed eccoli i miei morti, assieme ai vivi che stanno morendo e a quelli che non hanno mai vissuto, allineati su un palcoscenico che si tengono per mano, profondendosi in sussiegosi inchini verso un pubblico di ombre. Recitazione di alta scuola per cui rimango intrappolata nella loro messa in scena, diventandone addirittura parte fondamentale: sono io la disperazione, l'angoscia, il grido, lo stupore, la rabbia. I Freaks sono magnifici imitatori di corpi ma sono assolutamente alieni agli umani stati d'animo, per questo hanno bisogno di me, affinchè io possa dotare di pathos le loro macabre finzioni.

domenica 23 novembre 2008

Tenerezza

Le guance opulente di BLOG s'insinuano nel mio campo visivo, meravigliosamente tonde come le sue piccole mani grassocce che si aprono, e si chiudono, nel gesto di fare ciao per attirare la mia attenzione. Non parla BLOG, ma si fa capire. Vuole uscire fuori all'aperto, non sopporta troppo la quotidianità dell'antro, i rumori e i movimenti dei suoi abitanti. Gli occhialoni scuri, in precario equilibrio sul naso minuto, gli coprono buona parte del volto. E la bocca imbronciata è molto più espressiva di ogni parola. Poi accenna un sorriso, timido e molto pudico, ammaliatore. Raramente BLOG sorride, e questo mi intenerisce. Fuori fa freddo, ed io sono come una lucertola che ha sempre bisogno del sole per destare il sangue e rinvigorire le ossa. Non lo sopporto proprio il freddo. Invidio Iggy e la sua capacità di cadere in letargo. Ecco, è proprio un letargo quello a cui agogno in questo periodo d'inizio freddo, e nell'imminenza della paranoia delle feste natalizie.
BLOG ora mi tende le braccia, vuole che lo coccoli un pò. Il mio istinto materno......come faccio a resistergli? So perfettamente che questo è un gesto preordinato, il mio figlio filosofo, obeso e nichilista, è anche un intelligente opportunista che sa dove poter far leva per ottenere ciò che vuole.
Ha intuito il mio disperato bisogno di tenerezza (darla o riceverla, non è questo che conta).
Contro ogni apparenza non é BLOG ad avere davvero una illimitata necessità di me (presto o tardi inizierà a gattonare, ad essere indipendente, ad imboccare la porta senza aver bisogno dell'ausilio delle mie braccia), ma sono io, consapevolmente, ad aver bisogno di lui, del suo sghembo sorriso cinico, dei suoi pugni serrati e dell'ostinazione della sua bocca muta. E, sopra ogni cosa, del suo sguardo che pazientemente filtra il mondo attraverso quei suoi occhialoni neri.

venerdì 21 novembre 2008

Deja vu

Non sei malata Mari, te lo ha detto anche lo psicologo e tu stessa ne sei consapevole. Non sei malata ma hai un problema ed i problemi, come ben sai, non si risolvono con le medicine. Ricaccia in gola l'urlo della strega e trova la calma necessaria alla riflessione. Abbi, alla fine, il coraggio e la coerenza di una decisione definitiva. Non sei più una ragazzina e......ok, non ne parliamo, so che detesti la retorica del discorso sul tempo che passa e paragrafi affini. Lo detesti, ma ne sei consapevole, e questo è ciò che conta.
Cosa vuoi davvero Mari?
Cosa vedi nel tuo domani?
Soprattutto come ti vedi in quel domani?
Non è un'analisi facile questa, me ne rendo conto, vista la grande stanchezza di quest'ultimo periodo per il ricorso continuo all'autocontrollo, ma devi comunque arrivare ad una conclusione o trascorrerai gli ultimi anni attivi della tua vita nella paranoia di un deja vu.
Dover fronteggiare i propri sbandamenti umorali è già un impresa ardua, ed in questo, te ne dò atto, sei stata brava, perchè anche se non li hai completamente azzerati li hai comunque di molto limitati ma, a lungo andare, questo continuo stato di tensione a cui ti sottoponi farà di nuovo saltare quel tuo, pur sempre troppo fragile, sistema nervoso.
E' solo questione di tempo.
E tu lo sai.
Come sai che non puoi prevenire, o addirittura impedire, i suoi sbandamenti umorali.
Ci hai provato, ma il prezzo è sempre troppo alto: dar via, ogni volta, un pezzettino di te stessa e, alla fine, renderti conto che, comunque, questa mutilazione non è servita a sciogliere i dubbi o le ossessioni di chi non riesce a crederti.
E la fiducia è la base primaria di ogni rapporto importante.
Autocensurarti, rinunciare all'esternazione dei tuoi veri pensieri e dei tuoi vivi stati d'animo, solo per limitare le sue paure e le sue ansie, non servirà che a renderti ogni giorno sempre un pò più instabile e, di sicuro, non risolverà il grosso problema che sta alla radice di tutto: la sua mancanza di fiducia nei tuoi riguardi.
Sacrificio inutile il tuo, percepito attraverso sensi di colpa dilanianti, questa volta, nei tuoi stessi confronti perchè scaturiti dalla consapevolezza dell'ingiustizia che ti stai infliggendo.
Mari, non possono essere queste le fondamenta su cui tu vuoi basare il tuo futuro, perchè sono terribilmente simili a quelle del tuo passato.
Amaranta

venerdì 14 novembre 2008

Paranoid Schizoid Woman

  
Io implodo, crollo dentro l'abisso di me stesso, verso il mio centro sepolto, infinitamente.
(da Cosmicomiche: L'implosione - Italo Calvino)

LA STORIA DI SILVIA
ALI
Le ali, quando spuntano, fanno davvero male.
Due piccole ferite nette dietro le spalle, i solchi in cui s'inseriranno, fra le scapole, i ventagli alari.
All'inizio ti sembrerà di portare un peso enorme sulle spalle.
Un fardello che ti piega la schiena.
La leggerezza non sempre è come te la immagini.
Ti daranno perfino impaccio muovendosi, talvolta, al ritmo delle tue braccia.
Non sono ali per il volo, ma per l'equilibrio.
E' questa la cosa fondamentale.
Sono ali per aiutarti a non cadere.
A rimanere stabile sulla superficie.

Sentivo sotto i vestiti il solletico delle piume sulla mia pelle.
Una sensazione che mi faceva star bene.
Sorridevo.
E la gente mi guardava con simpatia.
Sorridevo.
E mi trovavano carina.
Accettavo la luce e il buio con naturalezza, senza pormi problemi, perché le mie ali mi davano il giusto equilibrio.
Fino a quando...

Non mostrare mai le tue ali a nessuno, per gli altri sono solo estensioni, immaginarie ed irrazionali, sintomo evidente della tua conclamata farneticazione.
Allora sbarreranno tutte le finestre per paura che tu possa spiccare quel tuo volo, illusorio e mortale.
Così, per preservarti, ti toglieranno il cielo.
E tornerai di nuovo a fissare un muro.

LA STORIA DI AMY
LA SINDROME DI MUNCHAUSEN
Continuava a nutrirlo col suo latte avvelenato, cantandogli dolcissime filastrocche, carezzandogli con dita leggere i capelli.
Gli raccontava del suo amore infinito e, appena la piccola bocca s'adombrava di viola, correva a prodigarsi in attentissime cure a salvargli la vita.
Per poi riattaccarselo al seno e somministrargli, ancora e ancora, quello che pur sapeva essere veleno.
E' la storia di un amore delirante.

Sapevo che lui mi stava avvelenando ma, nonostante tutto, mi ostinavo a credere che il suo fosse amore.
La paura dell'abbandono mi ha reso colpevole di collusione.
Così ho continuato a bere quel veleno per timore di essere rifiutata, perché la mia presa di coscienza dichiarata mi avrebbe resa non più idonea a quella forzatura patologica.
Stavo male, certo, ma sempre c'era la sua parola buona e la sua carezza sui capelli.
Amorevoli cure ci sarebbero state sempre, a patto che io non guarissi.
Ho accettato le carezze ed il veleno.
Ho creduto veramente di essere malata.
Alla fine non sapevo più distinguere.

LA STORIA DI NADIA
PULSIONI SUICIDE
Mia madre parlava spesso di morte e, a modo suo, l'interpretava pure.
Io ne ero al contempo impaurita ed affascinata, fino a svilupparne una vera ossessione.
Ho vissuto, da piccolina, nel terrore che lei potesse d'improvviso morire (in realtà era sanissima, ma depressa) giurando a me stessa che se ciò fosse accaduto sarei morta con lei.
Così, da sempre, il suicidio è stato il feto che mi sono portata in grembo in una lunghissima gestazione.
Percepivo i battiti del suo piccolo cuore duro.
Il loro propagarsi, dal grembo al cervello.
Avrei dovuto trovare, prima o poi, il coraggio di partorirlo o si sarebbe incancrenito nel mio utero, tramutandosi in un devastante tumore maligno.
Dovevo estirpare, con le mie stesse mani, l'alieno tenacemente attaccato alla mia placenta.
Era parte di me e non corpo estraneo e, sicuramente, nell'abortirlo sarei morta io stessa.
Una prova tardiva di coraggio, un atto reale dal quale sarebbe sgorgato sangue.
Il sangue fa parte del ciclo vitale delle donne: quello del mestruo, quello del parto.
Forse per questo che ne ho orrore solo se fuoriesce da una ferita o se è sintomo di una malattia, ma non se scaturisce per un fattore naturale. O da una determinazione meditata.
E il suicidio è un atto meditato.

Il mio urlo silenzioso e la  mia mano che trova sicurezza nella decisione del taglio (rasoiarsi non fa poi così male se lo fai con fermezza e se ti affidi al tepore dell'acqua).
Quattro segni netti (io che non riesco a tracciare una riga diritta neanche con un righello) e la mia mano era ben ferma, solo il cuore batteva accelerato, ma forse non era il mio, era quello del mio oscuro figlio che, dalla profondità buia del mio utero, presagiva l'imminenza di quel parto troppo a lungo posticipato, e che ora lo avrebbe violentemente scaraventato nella luce, decretando così, nell'evento della sua nascita, la mia morte.

Il suicidio non è un atto estremo di vigliaccheria.
Richiede un coraggio immenso ed una determinazione altrettanto netta.
Sconfiggere la paura atavica del buio.
E del sangue.

La mia mano non ha tremato e, soprattutto, non ho avuto paura.
Quella di non incidere più a fondo è stata, alla fine una mia scelta.
Il coraggio della morte mi ha rivalutata.

LA STORIA DI ALDA
TENTATIVI D'IMPLOSIONE
...eppoi da una distanza siderale è arrivata LA VOCE.
Beffarda e irridente.
Cattiva.
La sentivo davvero.
A volte ero certa che fosse solo nella mia testa, ma mi è capitato spesso di udirla proprio da fuori.
Mi voltavo per individuarne la provenienza, ma non c'era mai nessuno.
Ferocemente sarcastica, mi appellava con nomi indicibili, irrideva la mia goffaggine.
Beffeggiava il mio modo di essere.
Era soprattutto di giorno che la sentivo, più raramente di notte.
Non colloquiava con me, ma mi giudicava con il distacco crudele di un occhio esterno.
Nulla le sfuggiva.
Con lei ero totalmente allo scoperto.
All'inizio avevo paura d'impazzire poi, invece, la possibilità della follia era diventata una specie di sollievo.
La follia ed il sonno, erano le sole due cose a cui aspirassi.
Dormivo molto poco, con inevitabile perdita della concentrazione e della prontezza dei riflessi.
Per un periodo lunghissimo non sono stata in grado di leggere, né di ascoltare musica, né seguire la tv (ma quella non la guardo neppure ora).
I miei passatempi preferiti erano la conta dei miei passi nel corridoio di casa e il controllo delle lancette, eternamente ferme, dell'orologio.
Quando era stanca di questo mi sedevo e fissavo il bianco delle pareti (poi sono arrivati fantasmi muti ad animarle).
Quando invece mi sentivo più reattiva ero in grado di spostare lo sguardo sui rami del grosso albero piantato in strada, sovrastanti la balaustra del mio balcone.
Quanto ho desiderato l'implosione della follia!
Per sfuggire da me stessa e per essere quello che davvero avrei desiderato essere e che non è stato possibile fossi: una schizzata, l'esatto opposto della mia fin troppo razionale Identità Predefinita.

LA STORIA DI NICOLE
LA SINDROME DI STOCCOLMA
Mi rendo conto di avere una struttura di nervi molto fragile, e che il grande dispiego d'energie usato per l'autocontrollo l'indebolisce ulteriormente.
Prima, per me, l'autocontrollo era normalità.
Autocontrollata, era quello il mio modo d'essere: non dire, non fare, non pensare, tutto ciò che avrebbero potuto mettere in discussione la mia immagine di superficie.
Questo equivale a vivere in una prigione dalla quale, però, sei apparentemente libera di uscire, perché tanto i tuoi guardiani sanno che volontariamente ci rientrerai, senza fare storie e senza creare problemi, perché fuori da quella cella non sapresti vivere. Non sapresti dove andare.
Ami perfino i tuoi secondini, acquisendo la convinzione che non vogliono farti del male, piuttosto sono lì a proteggerti non solo dai pericoli esterni ma soprattutto da te stessa.
Un regime carcerario all'apparenza all'avanguardia e molto soft, ma nella realtà assolutamente il più violento perché la fiducia delle guardie è accreditata dalla cancellazione della tua identità.
Entrare ed uscire dalla cella.
E quella pensi sia la libertà.
Ti senti privilegiata, guardi compassionevole chi in quella prigione, invece, non gode del tuo stesso diritto.

Poi un giorno, all'improvviso e senza nessuna causa apparente, una consapevolezza nuova s'insinua nei gangli del tuo cervello.
Ti risvegli dal tuo sonno comatoso e ti trovi proiettata in una realtà che non ti appartiene, perché in quel tempo non vissuto sei stata catapultata in un'altra a te estranea.
E vedi finalmente le sbarre.
E urli il tuo orrore.
E quella cella ora non si apre più.
Caduta la finzione di fiducia, si ristabiliscono i ruoli veri tra chi sorveglia e chi è in manette.
Guarita dalla emotività perversa della Sindrome di Stoccolma non ti rimane altro che lo sbigottimento per quello che è la realtà. E la rabbia per averla accettata.
Ti guardi allo specchio e sai di esserti persa.
E allora inizi a scavare, fino allo sfinimento, tra le macerie della tua identità.
Fatica inutile, perché le cause del terremoto sono tutte in superficie.
Facilissime da individuare.
Difficilissime d'accettare.

lunedì 10 novembre 2008

Sono io a dettare le regole del gioco

Adoro il sesso e lo so fare bene. Ho una fantasia fervidissima ma non improvviso mai, parto sempre e solo dalle mie necessità: sono io a dettare le regole del gioco, perchè quel gioco deve emozionare prima di tutto me stessa.


sabato 8 novembre 2008

Principessa splendente




"Principessa Splendente", è questo il significato di Marilena, il mio nome.
La "Principessa Splendente" appartiene invece alla working class, quella che ramazza i pavimenti e lucida le scrivanie, quindi qualcosa di vero nell'etimologia del mio nome c'è, anche se, alla fine, non sono io a splendere.
Ramazzo ed osservo. E scrivo. Scrivo nella mia testa, mentalmente prendo nota, sottolineo passaggi che ritengo importanti ripetendomeli come una filastrocca, per paura di dimenticarli perchè la mia memoria è diventata molto labile e spesso mi tradisce. Quando posso scarabocchio un appunto su un foglietto, salvo poi scordare il medesimo nella tasca della mia divisa da lavoro.
La fantasia è un'antidoto meraviglioso alla pesantezza e alla noia delle mie giornate.
Non amo il mio lavoro, ma non posso disconoscerlo come fattore fondamentale nella mia tardiva crescita, perché la "Principessa Splendente" è passata da una vita fatta di sicurezze solide ad una molto, ma molto più precaria, anche se, alla luce dei fatti, la strega dell'antro è molto più vera della signora incolore che abitava l'attico.
Ma, come dicevo, principessa non lo sono mai stata e, splendente, non mi ci sono mai vista, preferisco le streghe, più vere, più passionali, meno assoggettabili.
Infatti come una strega uso molto la scopa, che però è anche una bacchetta magica, (dove passo brilla sempre un puntino di luce) e, all'occorrenza, diventa anche una penna, (avete mai provato a scrivere nella polvere?). Io ci ho scritto paragrafi consolatori quando mi sembrava di non potercela fare, invettive contro una vita che mi pareva ingiusta, formule maledicenti e poesie d'amore, ma mai favole.
Quelle non me le sono mai raccontate.
Eppoi arriva sempre la fine della giornata, quando ripongo la scopa che, a quell'ora, ridiventa inconfutabilmente una normalissima scopa, mi netto dall'odore del sudiciume, sciolgo i capelli ed indosso di nuovo i miei abiti (fili di perle inclusi), e spero tanto di trovare un posto a sedere sul tram, perché molte volte la stanchezza è davvero grande, il tragitto lungo e monotono ma, soprattutto, posso così finalmente trascrivere sul quadernino degli appunti tutto quello che ho già scritto nella testa.
Marilena (Principessa Splendente)

"Principessa Splendente", è questo il significato di Marilena, il mio nome.
La "Principessa Splendente" appartiene invece alla working class, quella che ramazza i pavimenti e lucida le scrivanie, quindi qualcosa di vero nell'etimologia del mio nome c'è, anche se, alla fine, non sono io a splendere.
Ramazzo ed osservo. E scrivo. Scrivo nella mia testa, mentalmente prendo nota, sottolineo passaggi che ritengo importanti ripetendomeli come una filastrocca, per paura di dimenticarli perchè la mia memoria è diventata molto labile e spesso mi tradisce. Quando posso scarabocchio un appunto su un foglietto, salvo poi scordare il medesimo nella tasca della mia divisa da lavoro.
La fantasia è un'antidoto meraviglioso alla pesantezza e alla noia delle mie giornate.
Non amo il mio lavoro, ma non posso disconoscerlo come fattore fondamentale nella mia tardiva crescita, perché la "Principessa Splendente" è passata da una vita fatta di sicurezze solide ad una molto, ma molto più precaria, anche se, alla luce dei fatti, la strega dell'antro è molto più vera della signora incolore che abitava l'attico.
Ma, come dicevo, principessa non lo sono mai stata e, splendente, non mi ci sono mai vista, preferisco le streghe, più vere, più passionali, meno assoggettabili.
Infatti come una strega uso molto la scopa, che però è anche una bacchetta magica, (dove passo brilla sempre un puntino di luce) e, all'occorrenza, diventa anche una penna, (avete mai provato a scrivere nella polvere?). Io ci ho scritto paragrafi consolatori quando mi sembrava di non potercela fare, invettive contro una vita che mi pareva ingiusta, formule maledicenti e poesie d'amore, ma mai favole.
Quelle non me le sono mai raccontate.
Eppoi arriva sempre la fine della giornata, quando ripongo la scopa che, a quell'ora, ridiventa inconfutabilmente una normalissima scopa, mi netto dall'odore del sudiciume, sciolgo i capelli ed indosso di nuovo i miei abiti (fili di perle inclusi), e spero tanto di trovare un posto a sedere sul tram, perché molte volte la stanchezza è davvero grande, il tragitto lungo e monotono ma, soprattutto, posso così finalmente trascrivere sul quadernino degli appunti tutto quello che ho già scritto nella testa.

Marilena "principessa splendente"

venerdì 31 ottobre 2008

Paradiso da basso

Mi spiace deludervi ma, dal mio punto di vista, il paradiso non è affatto collocato in una zona remota del cielo, quindi dimenticatevi di tutta quella scenografia a cui siete da sempre abituati, con nubi candide, raggi vividissimi di luce, azzurro infinito, e angeli vestiti di rosa e celeste che suonano le trombe.
Il paradiso è qui, da basso. In questo periodo sà di terra grassa, di pioggia e di marron glassè, e di vino rosso caldo.
La vita in questo paradiso è rumorosa e frammentaria, caotica, così simile a quella terrena che quasi non ti sembra possibile che questo sia davvero l'Eden. L'unica differenza sta nella perfezione, che non è di certo un particolare irrilevante. Nel paradiso di cui vi parlo, io ad esempio, sono sempre io, né migliore, né peggiore, tale e quale come potreste vedermi ora. Per dirla chiara, i miei brutti denti rimangono sempre. Però qui sono io come avrei voluto davvero essere, nell'essenza.
Eden di poca terra e di molto cemento, per essere del tutto sinceri, e i disastri ambientali...bé, stessa storia dei denti, quelli rimangono. Per apprezzare appieno la perfezione deve comunque pur esserci qualcosa d'imperfetto che la sottolinei. Ma questi sono solo dettagli.
In questo paradiso da basso io non sono assolutamente né più giovane, né più bella (ma nessuno qui lo diventa se non lo è già naturalmente di suo), solo che la mia anima ora riveste la mia pelle, ed è quella che risulta visibile. Quindi io sono quella che sento davvero di essere, senza nessuna pretesa né arroganza, perchè in questo paradiso underground quello che conta è la felicità di essere se stessi, e non importa essere geni, non si viene mica valutati sul metro del talento o della maestria, quello che importa è la convinzione di noi stessi nell' essere davvero quello che si è deciso di voler essere. La categoria nefasta dei critici (intendo proprio quelli di mestiere, quelli che scrivono sui giornali e disquisiscono in tv) qui non trova posto, (sono convinta che perfino Dante avrebbe avuto difficoltà a collocarli in uno dei suoi tanti gironi), quindi niente cattive recensioni, se hai la convinzione di essere, ad esempio, uno scrittore.
Scrivi con l'intelligenza dell'anima, e questo basta (ok, un minimo di conoscenza della sintassi e della grammatica, soprattutto l'uso corretto delle acca, e sei uno scrittore).
Scrittrice, per quel che mi riguarda. E' questo che dice la mia pelle al rovescio. Non sono presuntuosa, ho largamente puntualizzato le poche note di merito che occorrono per essere quello che qui si aspira ad essere, e nel paradiso (anche se è un paradiso da basso) non deve assolutamente essere complicato trovare la felicità, quindi anch'io posso fregiarmi del titolo di scrittrice.
Io e i milioni di altri blogger che qui svolazziamo angelici, con le nostre alucce più o meno aerodinamiche, nei cieli gonfi di pioggia di quest'autunno, seminando con il nostro entusiasmo questo Eden di poca terra e di molto cemento, con le nostre parole all'occorrenza fertili sementi, grani di neve, leggerissima nebbia, manna consolatoria.
Mi piace questo paradiso da basso, di poche pretese e di molto buon senso.
Un paradiso molto a misura d'uomo direi, niente di solenne o maestoso, ma tranquillo e accogliente come la nostra vecchia casa a cui facciamo ritorno dopo essere stati un po in giro per i fatti nostri e, alla fine, si è deciso di averne viste abbastanza.
Marilena

giovedì 30 ottobre 2008

Mistificazione

Anteprima


Non odio la luce ma la sua mistificazione, nella semplificazione ovvia attraverso la quale, da sempre, assurge come indiscutibile valore positivo.
La mia intelligenza rifiuta il simbolismo.

mercoledì 29 ottobre 2008

Mari vs Lux

Se la luce irrompe puoi opporre pur sempre una resistenza o, tatticamente, diventarne alleata.
Irretirla, con la tua finzione.
Prometti ai suoi raggi una consenziente penetrazione, come accordo di un gioco erotico condiviso.
Non nasconderti mai al suo richiamo, come un animale cieco o ferito, che cerca rifugio nell'anfratto più buio per mimetizzarsi nella sua paura.
La luce ha una visibilità dirompente, ma non ha odori. Un corpo privo di odori facilmente potrebbe stanarti.
Apriti e lasciati momentaneamente profanare. Falla scivolare docile lungo il tubo della gola. Ingoiala.
Sesso di carne, particella di ostia. Cibo.
Residuo nell' intestino.
Alla fine, semplice escremento.
Cosa c'è di più mistico che defecare un'aureola di luce?

Anteprima

martedì 28 ottobre 2008

Volume e peso

Urlo. Urlo. Urlo.
La signora dal balcone di fronte mi guarda, ma non me ne importa niente di ciò che può pensare.
Le parole mi escono stentate, ho difficoltà a pronunciarle correttamente, ma ho anche urgenza di vomitarle, e quindi non me ne frega assolutamente nulla della babele che mi esce dalla bocca.
La pace per me non ci sarà davvero mai.
Quando penso di essere giunta ad un traguardo c'è sempre una mano pronta a tirarmi per i capelli, e a trascinarmi indietro.
Io faccio resistenza, mi oppongo con tutte le mie forze, e urlo per la frustrazione di non riuscire a farmi capire, e per l'umiliazione di questa ennesima prova di forza.
Grido e non dovrei farlo. Le mie ragioni sono legittime, non hanno bisogno di sottolineature isteriche, eppure non riesco a dirle in altro modo. Forse perchè sono esausta di ripeterle sempre, rispiegarle all'infinito.
Ho provato ad essere di nuovo come ero un tempo. Non volevo perdere ciò che pensavo di aver conquistato.
Ma dov'è la conquista se questa mi costringe a non essere vera?
Come sono non piaccio davvero a chi vorrei piacere, ma se rispolvero la mia "identità predefinita" è a me stessa che non piaccio.
Mi rendo conto che non ci sono punti d'incontro.

Non scenderò a compromessi solo per apparire più bella o più facile.
Non camufferò i miei pensieri o le mie emozioni.
Non rinuncerò ad essere quella che oggi sono.
Non rinuncerò ad essere quella che un giorno potrò ancora essere.
Per troppo tempo mi sono rinnegata, rendendomi invisibile, vestendo abiti non miei, ridendo e piangendo delle emozioni degli altri.
Per troppo tempo ho desiderato essere qualcun'altra che non fossi io.
Per troppo tempo ho cercato l'accordo e accettato il compromesso.
Per troppo tempo ho lasciato che chiunque potesse occupare il mio posto.
Ma oggi io sono volume e peso e ne sono pienamente consapevole.
Marilena





lunedì 27 ottobre 2008

L'antro inviolabile del nostro io

Credo fermamente che ci sia, in ognuno di noi, una zona assolutamente inaccessibile alle intrusioni esterne.
L'antro inviolabile del nostro IO più profondo, quello delle emozioni non costruite, nè indagabili.
Un luogo sacro, dove nessuno ha il diritto di entrare.
Nessuno.

Per un tempo lunghissimo ho vissuto nel buio più completo.
Mi muovevo con la sicurezza dei ciechi, sulla scia degli odori e sull'eco dei fruscii.
In quell' universo completamente buio l'oscurità non mi ha mai davvero spaventata: era naturale
Poi la luce, con la sua punta di coltellino, si è infiltrata graffiando nel buio.
Ha invaso.
Ha profanato.
Ha oltraggiato.

domenica 26 ottobre 2008

La strega te ne sarà grata

Perchè stai cercando di tramortire la strega?
E' davvero questo che vuoi fare, tramortirla e poi lasciarla in balia dei coyote?
Non te lo permetterò, perchè devi molto a lei.
In quest'ultimo periodo Mari mi piaci davvero poco. Ti preferivo prima, quando urlavi e mandavi affanculo tutti. Sei davvero tu la signora"bon ton" con il filo di perle e il golfino d'angora?
E' tuo quest'ultimo insulso racconto?
E' questo il risultato evidente del tuo cambiamento?
Ma sono veri entrambi? (il cambiamento e il risultato).
Perchè ti stai nascondendo?
Cosa stai cercando di dimostrare?
Non ti piace il mondo di superficie, ok, non sei costretta a starci, almeno qui puoi ancora scegliere.
Rimani e urla la tua necessità di urlare, perchè quella l'hai ancora, solo che ora sei brava ad ignorarla. E' come aver subito un elettroshock, sei stordita e sorda alla tua stessa voce, quella che non viene dalla gola ma dai visceri.
Una signora che scrive in un blog raccontini insulsi, solo perchè ora ha paura di dire che ha una nuova paura: quella di non essere più.
Non nasconderti, Mari, e urla ancora il tuo istinto: la strega te ne sarà grata.
Amaranta

sabato 25 ottobre 2008

In trappola

Tutte le mattine si svegliava sempre più esausto, col pianto pressochè ininterrotto del bambino a fare ormai da colonna sonora alla sua giornata.
E le lamentele ossessive di Betty.
Questa era diventata la sua vita.
Come aveva potuto permettere che gli accadesse questo?
In trappola.
E' così che si sentiva.
Incastrato da un figlio che non riusciva davvero ad amare, e da una donna che gli si rivelava ora nella sua interezza.
Anche se un tempo pensava di aver provato autentica passione per lei, così sexy e sfrontata, e tutti gli uomini che frequentavano il pub, dove lavorava come cameriera, che le sbavavano dietro.
Una donna, e non una delle ragazzette insipide che facevano parte del suo circuito. Incredibilmente, e contro ogni sua più rosea previsione, avevano cominciato a frequentarsi, con grande invidia dei suoi amici.
Dieci anni più grande di lui: una donna fatta e lui poco più di un ragazzo.
Dieci anni di più e lo sfacelo già in corso: con la gravidanza si era imbolsita.
Infagottata in tute informi o fasciata in jeans ormai troppo stretti, pesante e goffa, aveva perso il suo sex appeal.
Sembra mia madre, pensava con crudeltà.
E il bambino poi......cosa ci faccio con un figlio?
Per loro aveva smesso l'università e preso a lavorare nell' autofficina di sua padre.
Sposarla era stata una sua scelta.
C 'era quel figlio e lui si sentiva maturo d'assumersene la responsabilità.
Ricordava, però, le lacrime di sua madre.
E non erano lacrime di gioia.
Betty a lei non piaceva.
E non solo per la faccenda dell'età.
All'inizio le rinunce non gli erano sembrate così insopportabili.
Quell'estate i suoi amici erano partiti per la Tunisia e lui era rimasto in città ad organizzare il matrimonio e a ridipingere la casa dove sarebbero andati a vivere.
In quel periodo Betty era ancora splendida.
Appagata dalla prospettiva di mettere ordine nella sua vita e dall'attesa della nascita del bambino, era diventata, se possibile, ancora più bella, meno aggressiva.
Più dolce.
L'impeto, che la caratterizzava, ora era riservato solo alla passione notturna.
Lui non aveva avuto troppo tempo per capire davvero in che direzione stesse andando.
Era tutto così veloce.
Nuovo. Imprevisto.
Non aveva avuto il tempo di aver paura.
Paura di cosa poi?
Sposava una donna più adulta d'età, certo, ma incredibilmente sexy, e l'avrebbe avuta solo per sè, e poi diventare padre in qualche modo avrebbe accelerato il suo processo di crescita.
Fino a quel momento aveva solo giocato, ora avrebbe davvero iniziato a vivere.
Non più un ragazzo, ma un uomo.
Ed ecco, che da subito, la vita gli presentava il conto.
Un parto difficile, il bambino sopravvissuto per miracolo e la depressione di Betty.
Lei e il piccolo, due pesanti zavorre che lo stavano schiacciando.
Piangevano in continuazione, uno per le devastanti coliche, l'altra, per l'abbrutimento del fisico e della mente.
Aveva iniziato così a sentirsi sempre più solo.
Dormiva poco e male, a casa ci stava il meno possibile, benediceva il lavoro dell'autofficina che lo teneva occupato e, lontano da loro, la vita gli sembrava ancora sopportabile.
Usciva prestissimo e tornava a casa sempre più tardi.
Vagava fino a notte fonda, da solo, troppo orgoglioso per mostrarsi nel suo penoso stato agli amici di un tempo.
A casa lo avrebbero accolto le invettive di lei o, infinitamente peggio, il suo mutismo accusatorio.
Si chiedeva se mai l'avesse davvero amata o se era tutto riducibile ad una pura questione di sesso.
Forse lei gli aveva astutamente teso un tranello, come diceva sua madre, per chiuderlo in trappola.
Non amava nemmeno suo figlio, quel piccolo essere furioso, rattrappito su se stesso, che piangeva da mattina a sera, squarciandosi i polmoni, incapace di rassegnarsi al suo destino.
Invece, lui, il suo destino l'avrebbe cambiato.
Quella sera stessa avrebbe parlato con Betty, le avrebbe lasciato la casa e provveduto al loro mantenimento, ma sarebbe andato via.
Fuori dalla trappola ce l'avrebbe sicuramente fatta a riprendersi la sua vita.

mercoledì 22 ottobre 2008

Necessità

Da quando è nato il nostro rapporto è questo: lui ha sempre l'esigenza di mangiare ed io, quella di nutrirlo. Equilibrio perfetto perchè le nostre necessità si completano. O meglio, si completavano. Il mio seno sta diventando sterile, inutilmente BLOG succhia con tutta la voracità della sua mole, quello che ne ricava è solo un siero acquoso e inconsistente. Chiaramente non gli basta, quindi reclama con tutta la forza dei polmoni il suo diritto al cibo. Mi sveglia il suo pianto, disperato e prepotente. Provo a calmarlo cullandolo con improbabili ninne nanne inventate sul momento, con la mia stonatissima voce; gli accarezzo la fronte, d'istinto traccio con le dita segni inconsciamente memorizzati da reminescenze antiche, mormorando formule arcaiche, come faceva mia madre quando era lei a segnarmi la fronte sussurrando parole che io non capivo e che, inutilmente, tentavo di carpirle, nel rito stregonesco del "malocchio".
Ora faccio la stessa cosa con BLOG per nascondergli la realtà della mia sterilità, ma lui mi respinge, con i pugni serrati e gli occhi bui: non ha bisogno di riti ma di cibo.
Non ha davvero necessità di me, in quanto io, ma di essere nutrito e accetterebbe chiunque fosse a farlo. Equilibrio sfalsato, quindi, anche se le nostre esigenze di aspettativa reciproca non sono assolutamente mutate, solo che ora io non riesco a sfamarlo come si deve, ma non perchè non ne abbia più voglia, è che oggi mi è difficile farlo.

lunedì 20 ottobre 2008

Ritorno al mondo di superficie

Mi manca il mio antro. Mi mancano Iggy e Blog. Mi manca terribilmente Amaranta.
Sono rimasti solo i Freaks con le loro guerriglie da operetta a tenermi compagnia.
La vita di superficie......non mi piace. Mi guardo intorno e mi sembra tutto estraneo.
In realtà sono io che mi sento estranea a me stessa. Mi sembra di non aver più nulla da dire.
Ho esaurito le parole.
Sto guarendo e dovrei sentirmi rinnovata, invece, mi sento solo svuotata.
Perchè?
La mia spinta propulsiva va esaurendosi.
E' questo il ritorno alla normalità?
Non c'è più la strega, non ci sono più i fantasmi muti disegnati sulle pareti.
C'è questo nuovo che non è davvero nuovo. E' un ritorno, da guardare con sospetto.
Le mie fobie......no, quelle ci sono ancora tutte, ma sono patologiche e per nulla affascinanti.
 Limiti e basta.
Ho riletto con nostalgia i miei post: mi piaceva, nonostante tutto, la donna che li ha scritti.
In questi ultimi due giorni ho fatto indigestione di musica. Musica e silenzio. Ho anche provato inutilmente a piangere, senza riuscirci. A volte si ha la maledettissima esigenza di spurgare acqua dall'anima e quando non ci si riesce......ma stasera si, stasera piango e sto infinitamente meglio.
Marilena

sabato 18 ottobre 2008

Accettare la metamorfosi

Come un maglione di lana grezza che prude sulla pelle, è questa la tristezza. Avevo dimenticato il suo tepore ispido perchè la disperazione di questo lunghissimo periodo aveva cancellato tutto, anche lei. Finalmente oggi, dopo un tempo infinito, ancora la ritrovo, intatta ed immutata, col suo profumo morbido di castagne. Se sto riappropriandomi della tristezza significa che sto guarendo. Significa che la disperazione sta dileguando. E' realmente da un pò che che mi lascio consapevolmente sopraffare da tutta la vasta gamma di sensazioni riscoperte, piacevoli o meno, che prima avevo rinnegato in nome della sola tirannica disperazione. Non mi ci avvoltolo più nelle sue maglie di ferro, come un baco impazzito che non sarà mai farfalla. Ora sono pronta ad accettare la metamorfosi. Con gioia, quindi, mi riapproprio della tristezza, perché è il primo colore dell'arcobaleno, meno intenso degli altri ma non per questo meno bello: madreperla che si confonde negli strati del cielo, per apparire a tratti occhieggiato di sole, a volte invece, ombreggiato di nubi.
E' un colore incredibile.
Non si mostra, ma si fa sentire.
Per un tempo lunghissimo ne avevo perso la memoria.
Per un tempo lunghissimo.
Marilena


mercoledì 15 ottobre 2008

Ho creato un mostro!

Ho creato un mostro!
E' questo che ha esclamato mio figlio dopo il nostro ennesimo battibecco per chi dovesse stare al computer.
Sul momento la frase mi ha fatto ridere, poi...... riflettere.
Ha ragione. E' lui che mi ha insegnato l'uso del computer, prima mi limitavo a spolverarlo, quella era sua zona di diritto, per competenza e per età.
Poi è arrivato BLOG ed ho iniziato a bivaccare, sempre più a lungo, su questa poltrona (per altro molto comoda), rischiando più volte di bruciare la cena, e trascurare il lavaggio serale delle stoviglie.
Quest'angolo è diventato così mio territorio: qui scrivo, leggo, ascolto musica, parlo al telefono......qui, ci rammendo perfino.
D'inverno ho il mio plaid e la stufetta alogena, d'estate birra fredda e ventilatore.
Ho invaso il suo territorio e piantato la mia bandiera: il massimo dell'ingratitudine!
Il dottor Frankestein inizia consapevolmente a sentire tutta la responsabilità per la "creatura" da lui plasmata ed ora, palesemente, fuori controllo.
Giustamente, se ne rammarica, seppur in maniera molto ironica.
La "creatura", che adora sopra ogni altra cosa il suo dottor Frankestein, inizia seriamente a valutare l'ipotesi di comperare un portatile.
Marilena

martedì 14 ottobre 2008

Gli spari contro

Contro quelli che parlano di lavoro e non si sono mai sporcati davvero le mani con il lavoro fisico.
Che non conoscono la pesantezza degli attrezzi della fatica. Che mai sono stati costretti ad alzarsi all'alba, col cielo ancora buio, già stanchi ancora prima d'iniziare la nuova giornata.
NON AVETE IL DIRITTO DI PARLARE!
Contro quelli che parlano di democrazia ed uguaglianza e sono in cima alla piramide, privilegiati ed inutili, e dettano le regole per chi, invece, è alla base di quella piramide. Una classe politica lontana mille anni luce dalla realtà di un mondo molto più complesso e articolato. Frastornato.
NON AVETE IL DIRITTO DI PARLARE!
Contro quelli che fanno informazione, prostrati ai piedi dei dinosauri dell'editoria e dei potenti di turno, asserviti ai bisogni delle multinazionali e che nascondono, invece di mostrare, tacciono, invece di denunciare.
NON AVETE IL DIRITTO DI PARLARE!
Contro quelli che dovrebbero difendere i diritti dei più deboli e portare alla luce le ragioni dei giovani e di coloro che, nel lavoro e nella vita, non hanno alcuna certezza di un futuro, ma, invece, scientemente ignorano le nuove realtà e pretestuosamente esistono, solo per tutelare chi ha già garanzie accertate.
NON AVETE IL DIRITTO DI PARLARE!
Contro quelli che dovrebbero mettere finalmente in atto quello che da secoli molto teatralmente vanno predicando ed imponendo, dai balconi di San Pietro e dagli altari delle chiese di tutto il mondo, ma che, alla luce della ragione si smentiscono, sputtanando il loro Dio e le sue parole. Prediche facili, ed ancora una volta, schifosissimi privilegi.
NON AVETE IL DIRITTO DI PARLARE!
Contro le rock star e i divi, pianificati a tavolino, prodotti commerciali creati per arricchire le "major"e gli spacciatori di gossip, per ingannare in un sogno di facile illusione chi è troppo debole di mente, troppo stanco per pensare o, naturalmente acefalo. I "belli e dannati" che alloggiano in alberghi di lusso per consumare serate di droga (quella buona e non la roba della strada, tagliata e mortale) con le loro puttane di alto bordo, distruggendo nel colmo degli eccessi e trattando male chi per loro lavora o ne deve venire a contatto. Mentre nei testi delle loro canzoni vanno falsamente urlando di ribellione e blaterando di disagio della vita.
NON AVETE IL DIRITTO DI PARLARE!
Contro tutti quelli che si lamentano e piagnucolano, ma si guardano la Tv spazzatura, credono ai Tg, comprano gossip, che continuano a ripetere tanto non cambia niente, e se c'è uno sciopero vanno comunque a lavorare o, peggio, fanno pure gli straordinari (perchè sono comunque soldi), ed ognuno salvaguarda solo la propria misera realtà individuale, propagandando poi sterile rassegnazione, senza base nè costrutto, anche ai propri figli.
NON AVETE IL DIRITTO DI PARLARE!

GLI SPARI CONTRO: TIRIAMO GIU' QUESTA GENTE, INUTILE, E DELETERIA, DALLA CIMA DELLA PIRAMIDE E COSTRINGIAMOLA FINALMENTE AD ASSAGGIARE LA DUREZZA DELLA REALTA' DELLA VITA VERA, CHE NON E' CERTAMENTE QUELLA DELLA LORO QUOTIDIANITA'. TENTIAMO DI RISTABILIRE LE BASI PER UN DISCORSO DI DEMOCRAZIA E DI DIRITTO. FRENIAMO SOPRATUTTO L'EPIDEMIA DILAGANTE DEL "PENSIERO OTTUSO"
IL POTERE LO ABBIAMO NOI, MA QUESTO IMPLICA UNA NOSTRA DIRETTA MESSA IN GIOCO, PER QUESTO E' MOLTO PIU' FACILE ABBRACCIARE IL FATALISMO, IL POPULISMO, LA RELIGIONE, IL QUALUNQUISMO.
CREDERE E' PIU' FACILE CHE PENSARE.
SPEGNIAMO LA TV, NON LEGGIAMO I LORO GIORNALI, NON CREDIAMO ALLA LORO DEMAGOGIA, NON COMPRIAMO I LORO DISCHI, NON ANDIAMO AI LORO CONCERTI, NON ASCOLTIAMO I LORO SERMONI, NON APPLAUDIAMO PIU' AL CIRCO OSCENO DEI LORO NANI E DELLE LORO BALLERINE.
QUANDO SMETTEREMO DI ESSERE SOLO CONSUMATORI E MENTI PASSIVE, AUTOCONVINTI ALLA RASSEGNAZIONE, TORNEREMO A SCOPRIRCI UOMINI PENSANTI E AVREMO DI NUOVO QUALCHE SPERANZA.
I NANI E LE BALLERINE SPARIRANNO COME PER MAGIA. PRODOTTI CHE PERDONO CONSENSI E SHARE, INAPPETIBILI COSI' A QUALSIASI SPONSOR, SARA' LA LORO STESSA LEGGE DI MERCATO A FOTTERLI.
IL CIRCO VA IN SCENA SOLO SE HA UN PUBBLICO CHE LO GUARDA.

domenica 12 ottobre 2008

Orgasmo di un vegetale

Anteprima

Orgasmo di un vegetale che, prigioniero nel suo incubo, valuta nell' oppressione della sua immobilità le immagini porno che scorrono sul visore.
Il cervello ronza frenetico nella precarietà di uno stimolo illusorio, ma non esiste altro se non quella fredda sofferenza cerebrale dell'ossessione visiva di un messaggio così provocatoriamente esplicito.
E lo spasmo di una mano annaspante.

giovedì 9 ottobre 2008

Passerella notturna

Ho questa cesta tonda di vimini, stipata all'inverosimile di scampoli di tessuti accumulati nel corso degli ultimi 30 anni. In realtà molti ritagli di queste mie stoffe sono deteriorate nel tempo, avevo già iniziato ad accumularle nel periodo delle scuole elementari ma di quelle, ormai, non mi resta più nulla se non il ricordo. Pezzettini di cotone giallo e lilla, piccole pezze di tela bianca con ricami di fiori e farfalle, il ritaglio di un tessuto, piuttosto pesante, a quadretti bianco e verde e, un'altro più leggero, in bianco e rosa, tutto ordinatamente riposto nei cassetti della memoria, e romanticamente profumato all'odore di lavanda e gelsomino. E' la cesta di una stilista, senza griffe nè copyright, moda da strada, suscettibile agli umori suoi e della folla. Consenso silenzioso o nessun consenso, non importa se quello che necessita è creare. E così, con un angolo di broccato verde scuro, ho confezionato l'abito sacerdotale della protagonista del racconto "L'unghia della strega", e mi sono avvalsa, invece, di sottile garza dai colori dell'arcobaleno, per le lolite di "Streghe". Ottimi tessuti, vecchi di circa 30 anni, quando allora ero anche io una giovane strega, ma non ne avevo minimamente la consapevolezza e poi, allora, strega era sinonimo di donna brutta ed arcigna. Mi colpisce il pensiero che le streghe teenager di quando ho scritto quel racconto oggi hanno superato la trentina, più grandi di mio figlio. Ogni volta che sono triste frugo nella mia cesta delle meraviglie e sempre riscopro tesori solo momentaneamente dimenticati, pronti a rifulgere nello splendore intatto del ricordo.Vecchio fustagno, robusto anche se ormai scolorito, ma ancora buono però per confezionare la veste scura, e audacemente scollata, dell' epilettica "Nel peccaminoso solco dei seni di una Maria Maddalena". Panni retrò per eroine moderne, il "vintange" furoreggia, e quel che conta è la verve con cui s'indossa un capo, ed Amanda, la coprotagonista di "Amanda & Jeremy" di verve ne ha da vendere, soprattutto se fasciata nella tela lisa, d'azzurro stinto e macchiato ad hoc nella candeggina, dei miei adorati, e mai dimenticati, jeans a campana anni 70. Ipnotica seta rossa per la dark lady di "Una donna di talento" e solo lunghi guanti di raso color glicine per la bellissima puttana de "La stanza rosa" e, per finire, strati di tulle di fulgido viola, come strascico di sposa, per la stilista, senza griffe nè copyright, ma sinceramente appassionata della sua piccola arte, che rispettosamente ringrazia, e fa un inchino, sul palcoscenico, a quest'ora deserto, di questo blog.

Images by Victor Rolf

Come Juliette Greco




Un Freak burlone ha suonato la tromba del giudizio alle 4,30 di stamane. Appena ho aperto gli occhi è corso via sogghignando, ho potuto scorgere solo il suo parruccone cotonato di clown, mentre precipitoso s'involava dietro l'angolo dell'alba. Mattinata piena, troppe cose da fare e troppe poche energie per farle. Nel pomeriggio mi verrà di sicuro sonno. Il sonno arriva sempre quando non puoi dormire. Non ho voglia di uscire, non ho, in realtà, voglia di far nulla, ed il mio secondo caffè non mi aiuta affatto a carburare.
Stamani non mi sento gli occhi: al loro posto due enormi cavità vuote.
Mi rendo conto di lamentarmi del nulla, il fatto è che sempre mi spaventa sentire la nebbia nella testa. Sono un'adolescente ormai avanti con gli anni che ha ancora bisogno dei suoi feticci, del conforto della musica e di quello spleen, così caro ai decadenti e agli esistenzialisti, ripiegati malinconicamente su se stessi. E forse un buon bicchiere d'assenzio risveglierebbe il mio corpo in stato di coma vigile e ristabilirebbe quell'equilibrio percettivo di cui, al momento, sono priva.
Mi vestirò di nero, ( mi piacerebbe avere il coraggio di indossare una veletta), e labbra dipinte di rosso brillante, e un filo di perle satinate, sullo stile di Jiuliette Greco.
Marilena

lunedì 6 ottobre 2008

E' solo un racconto

Amaranta - mi chiedo se avrai il coraggio di continuare
Marilena - si che l'avrò
Amaranta - mmmm, non ne sono mica così sicura
Marilena - nutri così scarsa fiducia in me? Magari stavolta riuscirò davvero a stupirti
Amaranta - conoscendoti Mari......è più che lecito per me nutrire dubbi
Marilena - ti dico che lo porterò a termine, anche se immagino che non sarà facile.
Amaranta - assolutamente non facile
Marilena - è un racconto
Amaranta - so perfettamente cos'è, non è a me che devi spiegarlo, anche se in teoria non dovresti spiegarlo a nessuno
Marilena - è solo un racconto
Amaranta - e se qualcuno pensasse che sia vero?
Marilena - naaaaaaaaaaaa, chi vuoi che lo pensi?
Amaranta - sai che leggo nei tuoi pensieri e questo dubbio lo hai avuto
Marilena - ok e allora?
Amaranta - allora......il rischio che qualcuno possa immaginare che sia tutto vero c'è. Pronta ad accettarlo questo rischio?
Marilena - è un racconto......
Amaranta - lo stai sottolineando un pò troppe volte che è un racconto
Marilena - ma è la verità, di biografico c'è soltanto la solitudine dell'infanzia e dell'adolescenza, il resto è pura invenzione, io non sono Penelope
Amaranta - ok, mettiamo allora come punto fermo che arrivare alla fine della storia sia, per te, una importante prova di orgoglio e di carattere. Ora non puoi più tirarti indietro
Marilena - non voglio tirarmi indietro
Amaranta - ci hai pensato invece
Marilena - no, la storia mi piace e mi sembra che venga su abbastanza bene. Scrivo a rilento perchè voglio descrivere situazioni forti e stati d'animo altrettanto forti senza cadere nell'eccesso. E' fin troppo facile cadere nell'eccesso......hai ragione però quando dici che stavo per tirarmene fuori
Amaranta - certo che ho ragione
Marilena - non me ne tirerò fuori, andrò avanti
Amaranta - bene, e se qualcuno pensa che sia tutto vero, niente paranoie, ok?
Marilena - si, niente paranoie, è solo un racconto
Amaranta - Mari, questo lo abbiamo capito!
Marilena & Amaranta

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